È proprio nel momento in cui ti ritrovi al centro di un frenetico vortice di danzatori che ti corrono intorno che capisci che A[1]bit non è un normale spettacolo di danza. Non ci sono né palco, né platea, ma a dire la verità non c’è nemmeno il teatro, perché i danzatori di Sanpapié si esibiscono all’aperto, in un cortile sul retro del teatro Elfo Puccini. Non ci sono sipari o luci di scena, ogni movimento è illuminato solamente dalla luce naturale del sole e nessuno indossa costumi, ma semplici abiti neri. A spiccare sono semmai le mascherine blu elettrico che coprono nasi e bocche e riportano per qualche instante alla realtà dell’anno 2020; per il resto è come essere trasportati in un altro mondo, che prende forma tra gli spazi del cortile. Un mondo in cui, dopo mesi di lockdown e distanziamento sociale, la compagnia Sanpapiè esce fuori e si riappropria dello spazio esterno e, soprattutto, della libertà. E così scale antincendio, muri, rampe, ringhiere e corrimani diventano palcoscenico e oggetti di scena, con cui i corpi dialogano, interagiscono, danzano.
Ma il corpo è anche un potentissimo strumento in grado di stabilire connessioni con il pubblico e i danzatori se ne servono in continuazione. Attraverso un intenso e magnetico contatto visivo creano un forte legame con gli spettatori e continuano a interagire con loro usando gesti ed espressioni corporee, per richiamarne l’attenzione e invitarli a seguire i passi della performance itinerante. È così che la danza si fa un rito sociale, che annulla le distanze tra artista e fruitore e A[1]bit, più che uno spettacolo da vedere e capire, si trasforma in un percorso esperenziale, un movimento da condividere. La sfida artistica di costruire delle relazioni tra due entità che di solito non interagiscono, come danzatori e pubblico, è resa ancora più difficile dalle note scelte da Lara Guidetti. La sinfonia elettronica di Tristan Perich non lascia spazio a grandi emozioni e l’ascolto individuale, in cuffia, come se ci si trovasse in una silent disco, rende il contesto piuttosto alienante. Ma è proprio qui che entra in gioco tutta l’espressività di Sanpapiè, la capacità della compagnia di raggiungerci, di catturarci con i loro movimenti per poi appellarsi al nostro lato emotivo e conquistarci definitivamente: nell’intenso bacio con cui si chiude la performance ci siamo anche noi.
Anna Monteverdi
(ph: Sara Meliti)
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview