Questo gesto non può essere solo nostro. Si fa in due. C’è bisogno del porfido. Ci si stende sulla nuda terra, col corpo completamente rilassato: i talloni, le gambe, il sedere, la schiena, la nuca, sono i primi a interagire con la superficie del suolo. Ma non basta. Abbiamo bisogno di altri strati. Ricopriamo il corpo con le piatte rocce di porfido. Sono loro che ci aiutano a completare il gesto: farsi pietra, accettare il peso dei millenni.
L’attenzione al territorio che caratterizza il festival ci porta a incontrare il porfido delle montagne e delle cave nella zona di Lases/Albiano. Non si tratta tuttavia di una visita: l’occasione è data dalla residenza artistica – nell’ambito di IN SITU e del progetto (UN)COMMON SPACES– di Nana Francisca Schottländer, artista, coreografa e performer con un occhio di riguardo per le pratiche partecipative. Alla poetica dell’artista è anche dedicata pure una piccola mostra negli spazi di Sala Maier.
Quest’apertura dei processi artistici al pubblico, che da anni Pergine festival porta avanti, diventa così un’occasione duplice: da un lato ci permette di conoscere il territorio e di instaurare un rapporto alternativo con esso, attraverso le proposte di Schottländer; dall’altro consente un accesso privilegiato nel vivo della ricerca artistica, quando le direzioni e le prospettive sono ancora aperte.
Nonostante l’artista dichiari subito, sul pullman che ci porta alle cave di Fornace: «Non aspettatevi una performance, se la performance avviene è merito vostro», è chiaro che Heavy Kinship #8: Water, Flesh and Rock consisterà in un percorso preciso e strutturato. Già durante il viaggio in pullman, infatti, ascoltiamo la testimonianza registrata di un operaio della cava, che ne ripercorre la storia e riflette sul porfido, sulla sua antichità (nell’ordine dei cento milioni di anni), sull’unicità della sua forma piatta, sull’uso che ne hanno fatto e ne fanno le comunità trentine. Poco prima di arrivare a destinazione, la voce approda a riflessioni etiche, al rispetto che si deve alla montagna, «altrimenti si ribella», dice, ricordando il recente disastro della Marmolada.
Ma questa dimensione documentaria pare solo un punto di partenza nel lavoro di Schottländer. Giunti alla cava, dopo aver trovato un piccolo spazio fra cumuli e scarti di rocce di vario tipo, la proposta artistica cambia completamente. Siamo guidati in una serie di esercizi per entrare in una relazione diversa, più corporea e intima, con la roccia: ci disperdiamo per sceglierne alcune, ci ritroviamo a osservarle, toccarle, ascoltarle, facciamo loro delle domande, balliamo con loro un lento famoso e, infine, ci stendiamo a terra sotto di loro, nel tentativo di immedesimarci nel loro stratificarsi, nella loro esistenza nel tempo così diversa dalla nostra.
Quest’attenzione ai tempi geologici e al rapporto con quelli umani emerge come perno delle ricerche di Schottländer durante questa residenza nel territorio attorno a Pergine. Ed è su questo rapporto che si concentra la visita al paese di Lases e al luogo dove viene impilato e conservato il porfido lavorato, quello che costituirà strade, tetti e mura. Questo viaggio produttivo, economico e sociale, è messo a confronto, dopo una passeggiata sull’altura circostante, con il grande viaggio geologico delle montagne, che spingono verso l’alto, e con quello delle rocce che scendono e tornano all’acqua del lago. Fra erosione naturale ed erosione umana, Heavy Kinship rappresenta il timido, iniziale tentativo di “farsi roccia”: e così, discendendo il pendio, Schottländer – e assieme a lei qualche partecipante – è già pronta a tuffarsi nell’azzurrità del lago. Il ciclo della natura, grazie alle pietre, non è più un sintagma tanto astratto.
Riccardo Corcione
foto di copertina: Elisa Vettori
HEAVY KINSHIP # 8: WATER, FLESH AND ROCK
Stages of fluidity and notions of mobility and time
un progetto di e con Nana Francisca Schottländer
con il supporto di IN SITU project (UN)COMMON SPACES 2020-2024
contenuto creato nell’ambito dell’osservatorio critico di Pergine Festival 2022