Varcata la soglia della galleria del teatro Elfo Puccini, lo spettatore, con le cuffie alle orecchie, si ritrova nello spazio pubblico dove la vita scorre velocemente. Una voce subito lo interroga: «Riconosci questo luogo? Ciò che vedi attorno a te?». Così inizia l’esperienza personale, eppure collettiva di Amigdala della compagnia Sanpapiè. La domanda pone infatti l’attenzione sulla relazione intima che ciascuno di noi ha con la città mentre l’attraversa, con le sue architetture, forme, colori, odori. Presto ci si rende conto di essere osservati dai passanti perché questa volta è proprio il pubblico a compiere l’azione performativa. In questa camminata che sembra quasi una processione, sentiamo allora tutta la potenza di essere parte di un gruppo. Lungo la strada si uniscono al corteo un danzatore dopo l’altro, riconoscibili per il soprabito beige e per un lungo pennello. Un elemento curioso che caratterizza la durata di tutta la performance, un vero e proprio oggetto scenico che sembra assumere diverse funzioni a seconda dell’utilizzo che ne fanno i danzatori: ora una scopa, ora un’asta che crea delle geometrie… I performer conducono poi il pubblico all’interno della stazione metropolitana di Porta Venezia raggiungendo uno slargo accessibile anche senza biglietto, notoriamente utilizzato da crew di ballerini di strada. I danzatori si appropriano di quel grande luogo esteticamente anonimo ma dal grande significato e importanza sociale, colorandolo con i loro corpi che si disperdono e poi si riuniscono in una sorta di gioco di gruppo. Lo spettatore è incuriosito e può muoversi liberamente scegliendo il proprio punto di vista. Il reiterarsi di questi incontri e disposizioni nello spazio dei danzatori rende sempre più riconoscibili e prevedibili i meccanismi che generano i movimenti finché non avviene una rottura: i performer conquistano lo spazio correndo e gettano il a terra soprabito. Se prima i danzatori erano giocosi e i loro movimenti fluidi, adesso sembrano costretti, con i muscoli contratti, i gesti scattosi e le espressioni del volto cupe: come se da umani si stessero trasformando in animali per fondersi infine in un nuovo corpo unico che avanza severo come una minaccia verso il pubblico. La musica in cuffia, che fin dall’inizio aveva guidato i movimenti dei danzatori mescolandosi con i suoni urbani, pian piano incalza per arrivare a una nuova frattura. Un performer che era stato per tutto il tempo “spettatore” irrompe nello spazio scenico, frantumando ancora una volta il sistema faticosamente costruito dai danzatori che si trovano nuovamente a doversi riorganizzare per generare un nuovo equilibrio.
Anche l’ambiguità tra performer e spettatore equivale a mettere in crisi un sistema consolidato per trovare nuove risposte. Storicamente, infatti, i due soggetti sono distinti e hanno due ruoli ben definiti: l’uno agisce e l’altro osserva. Qui si tratta dunque di ricontrattualizzare costantemente questo rapporto canonico attraverso delle “fratture”, basti pensare alla camminata iniziale lungo Corso Buenos Aires o ad altri momenti in cui i danzatori invitano il pubblico a compiere delle azioni costruendo così dei nuovi “patti” di alleanza.
Infine, ecco un ultimo gioco gioioso sotto la luce del sole prima che i corpi dei danzatori si disperdano nuovamente nel tessuto della città, lasciando nell’aria il riverbero di ciò che è accaduto.
Chiara Di Guardo
Ph © Niccolò Trevisani
AMIGDALA
musica originale e sound design Francesco Arcuri
visual e costumi Nani Walz
testi Saverio Bari con l’assistenza di Gianluca Bonzani
con Fabrizio Calanna, Sofia Casprini, Luis Fernando Colombo, Gioele Cosentino, Matteo Sacco, Lara Viscuso
produzione Sanpapié e MILANoLTRE Festival
con il supporto di Teatri di Vita/programma Artisti nei territori della Regione Emilia-Romagna e Officine CAOS/Residenza Multidisciplinare Arte Transitiva Regione Piemonte nell’ambito del Progetto CURA 2021
in collaborazione con Cluster TAV – TechForLife Cluster Lombardo Tecnologie per gli Ambienti di Vita, Dott.ssa Antonella Monteleone, Istituto IEO e pazienti del progetto We Will Care
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview