NOI libreria, spazio indipendente e raccolto, si fa palcoscenico per SEXY MARGINALIA, spettacolo del Collettivo Baladam B-side, ideato da Rebecca Buiaforte e portato in scena da Antonio “Tony” Baladam, regista e interprete. Fin dai primi istanti si delinea una struttura narrativa stratificata: l’attore dà voce, in alternanza costante, a tre figure distinte: protagonista, drammaturga e performer. Ma non si tratta semplicemente di un esercizio di versatilità attoriale: la triplice incarnazione si rivela ben presto un dispositivo identitario complesso, volutamente instabile, che attraversa l’intero spettacolo. Lui, un uomo, presta il corpo e la parola a una giovane protagonista femminile, parlando in prima persona e creando una dissonanza di linguaggio, genere e narrazione. L’effetto è straniante, ma permette di interrogarsi su cosa significhi rappresentare, ricordare e tradurre un’esperienza di altri, vissuta o inventata che sia. Come la provincia che lo spettacolo racconta, anche questa identità scenica è frammentata, contraddittoria, in perenne spostamento tra autenticità e costruzione.
La performance si apre con una dichiarazione destabilizzante della protagonista sedicenne, che racconta di aver perso la fede una mattina all’improvviso durante la messa della domenica. Afferma: «Ho perso la fede per colpa di un prepuzio». La battuta grottesca innesca un cortocircuito tra sacro e corporeo, oscillando tra blasfemia e comicità. Ma al di là del singolo episodio, emerge un processo di perdita e ridefinizione: il sacro diventa oggetto d’ironia, trasformato in strumento di resistenza alla frustrazione esistenziale della provincia. La giovane, aspirante scrittrice, si presenta come una ragazzina disinibita, in cerca di esperienze e desiderosa di lasciarsi trasformare dalla città, spazio idealizzato di speranza e riscatto in netto contrasto con la provincia «imbuiata», contesto che la ragazza vuole mostrare nella sua brutalità. Tuttavia, non può compiere l’impresa da sola. Viene così introdotta la figura maschile del suo primo amore. In questa fase, la struttura frammentata e i numerosi piani linguistici si accavallano. Subentra qui il performer come personaggio, che si fa corpo e voce del ragazzo. E poi si fa spazio lei, la drammaturga, donna «affascinante e misteriosa», che scrive diari pieni di note a margine, diventati ora il suo testamento artistico e identitario: i “sexy marginalia”.
Poi, interrompendo il flusso narrativo, l’attore smette di incarnare ruoli ed esce dalla sua triplice pelle lasciando spazio alla condivisione di alcune interviste da lui condotte a collettivi e artisti che abitano davvero quel confine instabile tra città e campagna, tra centro e margine. Il primo intermezzo è un viaggio nelle parole del Teatro delle Ariette, dove il teatro si fa in campagna e si ostina a nascere lì, ogni giorno, contro ogni logica apparente. Poi ecco che sentiamo le voci di Giuseppe e Roberta, musicisti di Faenza: raccontano della fatica di fare cultura in provincia, di quella resistenza testarda che li tiene legati ai loro territori. Ma proprio quando le loro parole si fanno più intime, irrompe Alpapòn, una creatura mistica, inafferrabile, capace di sfuggire alla razionalità. La narrazione si apre a brevi deviazioni comiche e surreali che si ripetono poco dopo con altri personaggi: gli affittacamere Gianfranco, Proserpina e Fabio, dove a occupare la scena è l’enigmatica Gatta Gnuda. Queste interruzioni non sono solo pause narrative ma fessure attraverso cui affiora l’assurdo, inteso come modo per rappresentare il paradosso dell’esistenza, le sue incoerenze, i suoi vuoti. La linearità e la logica si spezzano per lasciare emergere un’altra dimensione, più istintiva e meno spiegabile. Si genera quindi un cortocircuito che disorienta e diverte, e lo spettatore è invitato a rinegoziare continuamente il senso, a restare in uno stato di attenzione attiva, dove niente è del tutto prevedibile o risolto. In fondo, è proprio nell’assurdo che la marginalità prende parola, trovando una lingua propria. Queste brecce nell’ordine della narrazione non solo creano un ritmo dissonante e vivo, ma anticipano e preparano l’emergere di un nuovo tema: la coppia. La fusione tra i due giovani e lo scandalo del loro amore si fa sempre più evidente ed è la stessa protagonista a svelarlo, raccontando come gli adulti non tollerino la loro unione, che si trasforma così in un atto di lotta. Improvvisamente l’intreccio frammentato fa un salto nel futuro, circa dieci anni dopo. La protagonista, venticinquenne e universitaria, è ora sovrastata dai dubbi della vita adulta e nelle sue riflessioni riconosciamo la stessa logica dello spettacolo: un continuo biforcarsi del senso, un’incertezza mai risolta.
La performance si chiude senza offrire riconciliazioni. Nessuna scelta netta tra città o provincia, nessuna via d’uscita pacificante. I due poli non sono universi opposti, ma tensioni complementari: il centro e il margine, il desiderio e la paura, la promessa di emancipazione e il rischio di omologazione. SEXY MARGINALIA porta in scena i frammenti, le note a margine, ciò che sfugge alla narrazione principale. Il sesso, mai gratuito e mai neutro, è spazio di rivelazione, di conflitto e di desiderio. La scrittura diventa il luogo dove questi scarti si accumulano, dove l’identità si disarticola e si riscrive. La marginalità non è solo quella geografica della provincia, ma anche quella interiore, che si insinua nei vuoti del discorso, nei silenzi, nelle battute che scompaginano il racconto. Non si tratta di scegliere dove stare, ma di abitare le contraddizioni, riconoscere che centro e margine, dolcezza e brutalità, appartenenza e fuga, convivono nello stesso corpo e nello stesso testo.

Isabella G. d’Amicis


immagine di copertina: foto di Alessandro Villa

SEXY MARGINALIA
di Collettivo Baladam B-side
con Antonio “Tony” Baladam
ideazione Rebecca Buiaforte
drammaturgia e regia Antonio “Tony” Baladam

La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025