Un/Dress Me Now si presenta come un rito performativo di trasformazione, per il quale Masako Matsushita costruisce un linguaggio che non richiede la decodifica, bensì l’attraversamento.
E quando l’interprete, Aurelio De Virgilio, si inginocchia, abbassandosi lentamente, lo sguardo si apre, si distende e lo spettatore entra a far parte di questa traversata percettiva: lo spazio inizia a dilatarsi a ogni respiro affannoso di chi, lungo il suo cammino, incontra frammenti della propria identità, uno dopo l’altro. Ed è proprio questo spazio, solo in apparenza vuoto, a definire la partitura di lettura per lo spettatore.
Lo space design si struttura con un ritmo quasi musicale che anticipa la tensione della performance: strisce di tessuto scuro sono stese sul palco a definire uno spartito di pieni e vuoti, con un ritmo 4-8-4, entro cui il corpo si misura e si confronta.
In questo scenario, la rigorosità è accentuata da una sequenza di reggiseni, piegati e allineati lungo una striscia lasciata vuota tra le bande di tessuto come oggetti di una collezione o come pietre di un cammino interiore.
Ed è in questa progressione che prende forma un’architettura intima e gestuale, in cui il corpo diviene il materiale primario e la vulnerabilità la matrice che ne disegna la geometria.
Su questo percorso costruttivo si posa una precisione visiva che rimanda alla sensibilità giapponese per l’equilibrio tra pieni e vuoti — tra vestirsi e svestirsi, tra apparire e sottrarre, secondo la filosofia del ma — l’intervallo spazio-temporale in cui l’azione e la pausa convivono e il visibile e l’invisibile si toccano.
Ogni capo, diverso nella texture e nel colore, sembra custodire una storia possibile di corpi vissuti, di identità, di pudori e di desideri oltre ogni confine. Il gesto è semplice, quotidiano, ma denso di significato: il performer indossa, a ogni passo, un reggiseno, come se ogni indumento fosse un brandello di vita raccolto e restituito al corpo.
E in questo dialogo di trasformazione, la voce del verbo indossare si capovolge nel suo contrario: non è più un atto di copertura, ma di esposizione, perché in scena c’è un corpo che si “spoglia” nel momento stesso in cui si riveste.

Tuttavia, al di là di questo spazio rigato e di controllo, si apre un campo nuovo, più libero e permeabile, in cui il dettaglio geometrico cede il passo alla possibilità dell’essere: è in questo luogo sospeso che l’artista completa la sua svestizione, trasformando, con gesti scultorei, alcuni degli indumenti intimi che lo avvolgevano in un turbante — un copricapo che evoca lontane ascendenze orientali. Mentre ancora si piega sulle ginocchia, in una posa come uscita da un dipinto, si specchia nel fondo di una luna di luce, alla ricerca del proprio io; la pupilla dello spettacolo si dilata e si fa porosa, permettendo così alla scena di essere assorbita silenziosamente laddove Il ritmo si allenta e ciò che resta è una soglia: fragile, viva, aperta.
Dopo questo incontro riflesso, l’artista si appresta con calma all’intreccio: raccoglie le bande nere di tessuto, le sfiora, le tende, le lascia scivolare sulle braccia e lungo la pelle, come a saggiare la temperatura dello spazio.
Poi, con gesti misurati, le avvolge intorno al corpo, intrecciandole minuziosamente fino a disegnare una nuova superficie: una mappa tattile e visiva che si sovrappone alla pelle nuda.
Le strisce di stoffa tracciano traiettorie che lo sguardo segue naturalmente: migrano insieme, si spostano in un altrove sottile, dove non resta che la bellezza della dimensione umana nella sua autenticità.
In questo fluire lento, lo scenario si apre come una soglia che non indica più direzioni, ma le lascia accadere. Tutto si distende, si scioglie: il gesto, la forma, il controllo.
E, in un movimento lieve e sospeso, il corpo, finalmente libero, si offre nella sua nudità originaria — non come esposizione, ma come atto di verità. Una nudità che non reclama sguardi, ma invita alla vicinanza: corpo e anima diventano un tutt’uno e ciò che resta è un respiro condiviso e la quiete dell’essere.

Marinella Protopapa

foto di © Masako Matsushita

UN/DRESS Me Now
coreografia Masako Matsushita
con Aurelio Di Virgilio
collaborazione drammaturgica Gaia Clotilde Chernetich
sound artist Andrea Buccio
project manager Stefania Mangano
produzione Fattoria Vittadini, nell’ambito del progetto residenze coreografiche Lavanderia a Vapore
con il supporto di Hangrtfeste Rosa

Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025