di Carlo Goldoni, regia di Alberto Oliva

visto al Tieffe Teatro Menotti di Milano dall’8 al 18 novembre

Perché sì. Sebbene rispetto ad altri suoi lavori la sua fortuna non sempre è stata costante, Il Ventaglio di Goldoni è un testo storico del teatro italiano. Rappresentato per la prima volta nel 1765, si tratta di una produzione tarda, il miglior frutto di quella fase di disillusione che coincise con gli anni francesi del drammaturgo. È un’opera amara e ambivalente. Il risentimento e il taciuto livore che traspaiono dalle battute di questa apparentemente gioiosa commedia ne rappresentano allo stesso tempo la sua qualità primaria e la sfida principale per chiunque si appresti a metterla in scena. Al di là di alcuni momenti di lentezza e di monotonia, principalmente causati da una recitazione a tratti troppo monocorde e ad altri troppo spigliata, e che purtroppo risulta pertanto incostante, quello che piace della versione curata da Alberto Oliva è soprattutto il coraggio dimostrato dal giovane regista. Questo Ventaglio firmato da una compagnia di tutti ventenni, in un tempo in cui in Italia i giovani sono la parte della società più dimenticata e trascurata, colpisce appunto per la leggerezza dell’approccio alla tradizione. È un Ventaglio che evidenzia quanto siano attuali ancora oggi quegli stessi problemi sociali che nel Settecento avevano colpito la lucida fantasia del drammaturgo veneziano; un Ventaglio che cerca nell’originalità la sua forza. In nome di una poetica che non teme di risultare grottesca nel suo mirare al postmoderno, trovano la loro giustificazione e vanno dritto al segno anche le trovate più eclettiche come gli inserti musicali brechtiani, la scena baccanale con cui si apre il secondo atto e il gioco delle parrucche che cadono e si ritrovano, a sottolineare lo scompiglio e la girandola delle passioni provocati in una cittadina della provincia italiana da un oggetto insulso e insignificante come un ventaglio. Non spaventano Oliva e i suoi né il peso del repertorio goldoniano, né i nomi di chi, come Squarzina e Ronconi, prima di lui ha diretto questa difficile quanto affascinante opera goldoniana. Per quanto ci riguarda, benvenuta la sperimentazione. Oggi come oggi, bravo chi osa. (Pia Vittoria Colombo)

Perché no. Ci si annoia un po’ durante questo Ventaglio diretto da Alberto Oliva. Ci si annoia perché le stravaganze perdono corpo e consistenza non appena ci vengono svelate. Ci si annoia perché gli attori recitano così in fretta che a volte non si capisce cosa dicano. E non si dovrà ricordare che il ritmo, in teatro, non è dato dalla fretta con cui si bruciano le battute. Un po’ ci si infastidisce anche: ma che c’entra Goldoni con l’orgia, l’incesto e i suicidi del secondo atto? La chiave interpretativa di Oliva è chiara: le pulsioni, le nevrosi, le frenesie le portiamo in alto, in basso lasciamo le apparenze e le convenzioni. Fin qui, tutto bene. Ronconi l’aveva già delineata questa strada, nel 2007. Poi Oliva ci aggiunge qualche trovata (le parrucche e il trucco da horror, come ha scritto Simona Spaventa su Repubblica: e queste ci stanno) e il gioco delle maschere che cadono. Ma il cabaret Weimar? E il libro porno del conte? E perché un oste dovrebbe uccidersi per una servetta? Come ha scritto Roberto Alonge: “La nota delirante-ossessiva ha preso la mano al giovane regista, spingendolo a un paio di colpi di scena, in finale di spettacolo, del tutto in-credibili”. Ma il problema è che l’interesse cala già dopo poco scene. Goldoni è un osso duro, non un esercizio di stile o di fantasia. È vero che il finir del Settecento è un’epoca di ombre come quella che stiamo vivendo, e che rivisitarne un pezzetto attraverso un’opera del tempo è pur sempre affascinante e coinvolgente. Ma non si poteva scegliere un testo che davvero permettesse questi salti di regia, questi voli interpretativi? I classici continuano a parlarci, è vero. Ma certo non vorrebbero straparlare. L’augurio è che il Mercante di Venezia che andrà in scena al Libero con la stessa regia non ci deluda. Le carte da giocare ci sono. (Francesca Gambarini)