Nel tuo archivio personale, quali sono le principali fonti di ispirazione per il tuo lavoro artistico?
Essendomi formata alla Scala, attingo a un repertorio prevalentemente classico e neoclassico, che però non esclude una certa versatilità aperta anche a suggestioni contemporanee. Negli ultimi anni, per esempio, sto indagando l’espressività della parte superiore del corpo: braccia, mani. Nel mio lavoro si tratta sempre di raccogliere il materiale che porto nel corpo e capire come reinterpretarlo in base alla drammaturgia e al suo senso. Quando inizio una creazione, non penso mai “voglio fare come…”. Il corpo ha una memoria impressionante: anche se non ne sono pienamente cosciente, esprime spontaneamente il suo vocabolario. La sintassi di ciò che creo è sempre una rielaborazione di ciò che già ho dentro di me.

Quanto il lavoro creativo sul gesto si può paragonare a un’opera di sartoria?
Sono due linguaggi affini, che nella loro collaborazione svolgono un lavoro di ricerca complementare sulla materia. Proprio come un’opera artigianale. Nella danza lavoriamo sui corpi e sul loro tempo: accelerazioni e lentezze, qualità del racconto, distanza tra gli accenti. Il tessuto, aderendo al corpo, lavora insieme ad esso: in alcuni casi nasconde, in altri lascia intravedere. In questo modo diventa fondamentale per accentuare una certa leggerezza o pesantezza, determinando la leggibilità dei movimenti e contribuendo a esprimerne il tempo.

La danza segue tendenze cicliche così come la moda?
Ogni arte ha il suo linguaggio, che si evolve e si modifica in base all’epoca. Non parlerei di mode, ma di espressioni del momento storico, dettate da gusti e tendenze che finiscono per influenzare il linguaggio artistico. Nel caso della danza classica, ad esempio, i passi sono sempre gli stessi da secoli: ciò che cambia è la maniera di interpretarli.

Nel tuo prossimo spettacolo, Heat-Us, le termocamere sono un elemento centrale. Qui, come nel tuo lavoro in generale, la tecnologia è più oggetto di indagine o strumento espressivo?
Direi entrambi: il mezzo tecnologico, in quanto strumento di indagine, esprime anche il senso e il significato dell’opera. Heat-Us nasce da una collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, come tesi di dottorato di tre autori che hanno scelto di indagare la percezione del calore. La tecnologia — le termocamere e le immagini restituite sugli schermi — permette di cogliere ciò che normalmente non percepiamo: le zone di calore che abitano i nostri corpi e come queste influenzino l’ambiente circostante.
In questo risiede il cuore dell’opera: nella complicità diretta che si stabilisce tra strumento tecnologico e corpo umano (il mio e quello dei cinque danzatori), attraverso una danza che è al servizio del significato. La sfida era trovare un’armonia tra tutti questi mezzi espressivi: corpi, danza, immagini, termocamere. Abbiamo cercato di portare in superficie il rapporto di identificazione — e a volte di possessione — con la tecnologia che caratterizza il nostro presente.

A cura di Lorenzo Giurdanella


Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025