A volte capita di aprire cassetti dimenticati in cui, tra un vecchio attestato e una ricevuta di pagamento, si nascondono piccoli oggetti, fotografie, biglietti di auguri, diari, gelosamente conservati e riposti al sicuro in tempi lontani. Dopo lo straniamento iniziale risale rapido il ricordo, che, come un flash, illumina un passato in cui quegli ammennicoli erano tesori preziosissimi, amuleti intoccabili.

È questa all’incirca la sensazione che si prova nell’aprire, prima dell’inizio di First love, la busta che viene consegnata a ogni spettatore. Al suo interno nessun foglio di sala; le note di regia per il lavoro di Marco D’Agostin — in scena al “Lavatoio” di Santarcangelo — sono una fotografia, le parole di una canzone, una spilla con il disegno di una montagna e un adesivo. Raccontano, rimandi metonimici, il primo amore del danzatore, quello per lo sci di fondo e per un’atleta in particolare, Stefania Belmondo — che sorride accanto a un Marco D’Agostin ancora bambino, nella polaroid custodita all’interno della busta. Del resto che senso avrebbe raccontare un sentimento complesso snocciolandone i dettagli e analizzandone gli alti e i bassi? Meglio procedere, anche sul palco, per sintesi, servendosi di un episodio simbolo che funzioni da culmine e summa di una storia complessa.

@IsabellaAhmadzadeh

La scelta in questo caso è inevitabile: la gara della Belmondo nei 15 km a tecnica libera alle Olimpiadi di Salt Lake City nel 2002. Un’impresa mitica che subito entra a far parte dei sogni di molti tifosi, tra i quali c’è anche il giovanissimo fondista di cui gli spettatori tengono i ricordi tra le mani. La prova ha infatti tutte le caratteristiche di una favola eroica: l’impresa apparentemente impossibile, la competizione con avversari valorosi, l’immensa fatica nel momento della gara e una buona dose di imprevisti (uno su tutti la rottura del bastoncino). La protagonista, come da tradizione, parte da una posizione non facile: Stefania Belmondo ha un fisico minuto (il suo soprannome è Scricciolo o Trapulin) e, pur essendo una delle atlete più premiate nella storia del fondo, è alla fine della sua carriera. Ma, nonostante tutto, trionfa.

A distanza di 17 anni tocca a D’Agostin, che i suoi primi passi di danza li ha modellati proprio sulle “pattinate” dello sci di fondo, farsi voce (e corpo) narrante della mitica vittoria. Quei movimenti, prima creazione “da cameretta” del danzatore, diventano infatti i passi base che accompagnano e sostengono il racconto. Rimanendo quasi sempre al centro del proscenio, D’Agostin calibra con attenzione i passi da salita, curando nei dettagli più minuti le accelerate e la posizione da discesa.

@AndreaMacchia

A fare da partitura drammaturgica — nata in collaborazione con Chiara Bersani — è la telecronaca originale della gara, pronunciata sul palco dallo stesso D’Agostin. Ed è qui che scatta un inaspettato cortocircuito; la natura analitica della cronaca, che all’apparenza si contrappone all’estrema soggettività della prospettiva narrante, potenzia invece l’efficacia del racconto. La cadenza — a tratti anche grottesca — della parlata del telecronista non fa solo da musica per i faticosi passi del danzatore, ma appassiona la platea che alterna momenti di tensione e risate, fino alla tentazione di mettersi davvero a fare il tifo. Ma per chi? Per la Belmondo, ovviamente, e anche per Marco, il cui lavoro non è solo fisico e vocale. Il danzatore è infatti contemporaneamente oggetto e soggetto del narrare. Questo duplice piano di azione, sempre presente sottotraccia, si esplicita solo nei pochi momenti in cui — quasi a non volesse perdere la concentrazione della gara — devia dalla telecronaca dell’impresa. Quando ad esempio gli incitamenti indirizzati alla sciatrice si trasformano in esortazioni rivolte a Marco, superando così la barriera della contingenza per diventare eredità e sprone quotidiano.

@AliceBrazzit

Anche le barre led, poste sul palco a zigzag, sembrano ribadire questa sovrapposizione di piani. Ricordano una pista da sci, il profilo di una montagna e allo stesso tempo una frattura, un confine, una strada. Perché D’Agostin non è diventato fondista ma danzatore, e infatti, nella sua danza, riconosciamo anche la necessità, condivisa con molti spettatori in sala, di sanare un debito e di esprimere riconoscenza verso una possibilità che, seppur non percorsa, è, in altra forma, ancora presente. Forgive me my first love cantava Adele (e Marco insieme a lei) in apertura dello spettacolo…

Stefania Belmondo, intanto, vince la gara. D’Agostin, riguadagnato il ruolo di regista della propria memoria, chiama in scena la neve, che cade tranquilla e malinconica sul palco. La tregua col passato è, almeno per il momento, ristabilita.

Camilla Lietti


First love
un progetto di e con Marco D’Agostin
suono LSKA
consulenza scientifica Stefania Belmondo e Tommaso Custodero
consulenza drammaturgica Chiara Bersani

Visto al Teatro del Lavatoio nell’ambito di Santarcangelo dei Teatri_10-14 luglio 2019