Le sedie sotto la tettoia del Tranvai («il locale più milanese di Milano») si stanno velocemente riempiendo sul sottofondo di musica swing. Qualche passante rimasto fuori fa capolino da dietro la siepe, incuriosito da quanto sta per accadere. I camerieri corrono tra i tavoli per consegnare gli ultimi drink agli spettatori e Giuseppe Scoditti attende pimpante, ma senza ansia, di cominciare. D’altronde, sa perfettamente anche lui che il pubblico migliore per un comico, è un pubblico… allegro!
Al momento giusto sale sul palco, accolto da un fragoroso applauso, e dà inizio al suo monologo: 1 e 95. La serata è caldissima, il pubblico un po’ meno e questo può rivelarsi un problema: le serate di stand-up, ci confessa Scoditti, si fanno in due. Giuseppe non si fa scoraggiare, con esperienza e ironia riesce a conquistare gli spettatori insistendo sull’efficace provincialismo italiano, ma limitando solo a qualche battuta il racconto delle sue origini pugliesi. Lo show attraversa le più disparate tematiche: dalle difficoltà espressivo-comunicative dei cani, ai surreali corsi nelle scuole di inglese, sui cui testi si lotta contro il “predominio razziale” dei cats on the table. Lo spunto di partenza si trova sempre nelle esperienze personali di Giuseppe, che donano ai pezzi una veste di paradossale autenticità.

Nel corso dell’ora di spettacolo non mancano momenti di riflessione ironica sul lavoro del comico, sulla difficoltà di superare gli stalli e riuscire a passare da un argomento all’altro senza sembrare pretestuosi. Qui, come in altre gag, il corpo del comico «più alto d’Italia» è pienamente coinvolto nella narrazione, abitando tutto lo spazio del piccolo palco. Il sorriso sempre smagliante e la buona espressività facciale, godibili grazie all’intimità del Tranvai, sostengono e rilanciano lo spettacolo anche nei suoi punti più deboli, da cui il comico riesce sempre a divincolarsi con una spiccata auto-ironia.
Non c’è desiderio di creare disagio o irrompere con un linguaggio scurrile, solo la volontà di intrattenere con umorismo e momenti di sottile ironia. Così avviene per esempio con la musica trap, mito giovanile contemporaneo di cui Giuseppe si beffa, ridicolizzandone in maniera esilarante gli aspetti più emblematici: dai nomi impronunciabili degli artisti (in opposizione al celebre Sferaebbasta, ad esempio, si rinomina «Parallelepipedo-e-molto-altro»), alla volgarità spiccia dei testi, fino ad immaginarsi il lascito artistico di questo genere in un lontano futuro. Quest’atto di leggera dissacrazione ci mostra la parte più convincente e ambiziosa del comico.
I bicchieri ormai sono vuoti, volati via senza impegno in un’ora di risate.

Andrea Malosio, Riccardo Francesco Serra


1 E 95
di e con Giuseppe Scoditti
scritto da Ludovico d’Agostino e Giuseppe Scoditti
costumi Sartoria Teatrale Arrigoni
video Giacomo Scoditti
foto Clarissa Lapolla
coproduzione Teatri di Bari | Elsinor

contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2022