È buio, la vista è un po’ annebbiata dal fumo che aleggia in tutta la sala, mentre il centro della scena è costituito da una pedana bianchissima, dove tre danzatori si muovono meccanicamente. Chi entrasse ora in platea percepirebbe solo silenzio, ma nelle orecchie di ogni spettatore e degli stessi interpreti rimbomba una voce: «Point of view and perspective, what’s the difference?» Sono le cuffie che pubblico e danzatori indossano a rendere possibile questo piccolo straniamento. Ma c’è di più: se si cambia canale sul dispositivo il parlato si trasforma in una traccia elettronica o, se switchando ancora, in musica classica. Eppure in entrambi le varianti tre danzatori si muovono a ritmo. Shifting perspective di Diego Tortelli ha un impatto straordinario sul pubblico: la conformazione della sala permette agli spettatori di girare attorno al palco e di scegliere la “prospettiva” che preferiscono cosicché ciascuno potrà vivere lo spettacolo in modo differente con il proprio, personalissimo, punto di vista .

“Gusto soggettivo”, “Emozioni”, “Subjectivity”, “Expectation”. Le voci nella terza traccia – quella parlata – continuano e si moltiplicano: sono i danzatori che, ciascuno nella propria lingua (italiano, coreano, tedesco) ripetono queste parole, chiavi di lettura dello spettacolo. I danzatori interpellano con la voce lo spettatore e cercano parallelamente il contatto visivo, ai fini di una connessione diretta. E se all’inizio li vediamo danzare soli, poi “lavorano”in coppia e infine tutti e tre insieme. Sono tre fisicità, tre tratti somatici e quindi tre soggettività differenti: appaiono quasi come pezzi del Tetris, capaci di incastrarsi in modi complessi, o almeno questa è la percezione dello spettatore mentre assume posizioni diverse. Ogni muro, ogni barriera di separazione viene definitivamente distrutta quando i performer invitano il pubblico a scattare fotografie per poter condividere poi sui social la propria prospettiva, #yourownperspective, come cita l’hashtag che suggeriscono di utilizzare. Le emozioni che ognuno prova, il modo con cui decide di porsi, la diversa traccia che viene scelta permettono di vivere in modo autonomo e personalissimo lo spettacolo, valorizzando l’unicità di ogni spettatore. Una soggettività che non è certo invito al solipsismo, ma, al contrario, un inno alla disponibilità nei confronti dell’altro, un’esortazione ad aprirsi al mondo, a cercarne un confronto diretto.

Laura Cassinelli


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