Una conversazione con Daniela Nicolò e Enrico Casagrande sullo spettacolo Tutto Brucia, liberamente tratto da Euripide e altri testi, in programma al Teatro India di Roma dal 9 al 12 settembre nell’ambito della sedicesima edizione di Short Theatre e in replica fino al 23 settembre.
Compiono trent’anni, i Motus, uno dei gruppi più longevi e solidi del panorama italiano. Dal 1991 hanno costruito insieme un percorso rigoroso, un ensemble coeso, un rapporto col pubblico che non si è mai interrotto, neppure durante la pandemia: tra il primo e il secondo lockdown sono stati impegnati su molti fronti, dalla direzione del festival di Santarcangelo (luglio 2020 – luglio 2021) alla preparazione del loro ultimo lavoro, Tutto Brucia, ispirato alle Troiane di Euripide e ad altri testi, con la collaborazione tra gli altri di Ilenia Caleo in veste di Dramaturg e dello scenografo _vvxxii. Lo spettacolo in sé è stato concepito ben prima del Covid, ha avuto una lunga gestazione costellata di audizioni, laboratori, interruzioni e riprese, ‘ritiri’ in autoreclusione monacale e perfino – esperienza inedita e straniante – ‘congelato’ a tempo indeterminato prima del debutto (previsto originariamente per il marzo 2021), in un limbo fluttuante determinato dalla pandemia. Tutto Brucia sarà in scena a Roma dal 9 settembre al 23 settembre, e poi in tournée italiana. Qui un’intervista sulla creazione, esito di uno scambio con Nicolò e Casagrande del quale restituiamo il carattere unitario e condiviso, scegliendo di non evidenziare la singolarità delle risposte.
Com’è il vostro rapporto con i classici, e come li fate dialogare col presente?
In passato abbiamo affrontato altri classici, sempre mediati dalla contemporaneità, ma non ancorati al “qui e ora”. La nostra messinscena non è tradizionale né attualizzante. Anche la tragedia greca per noi è un organismo ‘vivente’, ci piacciono le sue parole astratte, evocative, eterne, ‘galleggianti’ sul presente, ci piace il suo tessuto arcaico che si tinge di contemporaneo. Così è nata molti anni fa la nostra attrazione per Cassandra. Il nostro primo studio sul personaggio era basato su Cassandra di Christa Wolf, dove la Germania divisa dal Muro si specchia nell’antica Micene. Poi abbiamo rivolto la nostra attenzione ad altri ‘classici’, non necessariamente tragici, come Orlando Furioso, il mito di Orfeo nella versione di Cocteau, e naturalmente Antigone.
Parliamo proprio di Antigone, un lavoro ambizioso sulla tragedia di cui eredita la “serialità” e l’elemento competitivo: ogni episodio del vostro progetto era intitolato (Antigone) contest e seguito da un numero progressivo. Come vi confrontate, voi e il pubblico, con quell’Antigone? Che rapporto c’è con Tutto brucia?
Syrma Antigones, come Tutto brucia, è un percorso a tappe durato molti anni, iniziato nel biennio 2007/2008 e scandito dalla crisi economica in Grecia, e da quel che ne è seguito: scioperi e contestazioni, scontri in piazza, manifestazioni studentesche e anche la tragica morte di un ragazzo, Alexis. Idealmente la Grecia antica si confrontava con quella moderna, mantenendo un contatto costante con la realtà, ma anche implicando una connessione tra la scena e i video, tra il documentario e la performance. Questo progetto invece tiene distinte le due componenti, si basa su una ricca documentazione, ma non presenta video in scena. Non si struttura in episodi, è uno spettacolo unico eppure rispetto ai precedenti ha un respiro più ampio, un ritmo meno serrato, non luci accecanti e contrasti netti, ma bagliori nell’oscurità. A differenza di Antigone non è un contest, non si costruisce su conflitti binari, tra coppie di persone o categorie o concetti antitetici, come l’opposizione tra Antigone e Creonte, tra giovani e vecchi, tra una donna e un uomo e così via. Non nasce da un evento specifico, come l’uccisione di Alexis, ma da tante storie di migranti che ‘bruciano’ il Mediterraneo attraversandolo, rischiando la vita e troppo spesso perdendola; per questa ragione abbiamo inserito alcuni dei loro nomi, veri o fittizi, nello spettacolo. I migranti, le donne, le madri e i bambini, tutte le loro storie e immagini si sono condensate e distillate in una specie di visione: una striscia di terra, una spiaggia, un lembo di costa – può essere in Libia, o in Medio Oriente – dove le donne di Troia come quelle di oggi – ancora schiave, oggetto di tratte e di violenze indicibili – attendono di partire. Dove andranno? Che cosa le aspetta? Su questo filo conduttore si innestano idee, suggestioni, letture passate e presenti (soprattutto Judith Butler, con Vite Precarie. Contro l’uso della violenza come risposta al lutto collettivo, ma anche Ernesto di Martino, con Morte e pianto rituale: dal lamento funebre antico al pianto di Maria), i principi della democrazia ateniese, ma anche la lezione di Gino Strada. In questo percorso si è prepotentemente insinuato il presente con i suoi avvenimenti traumatici, dalla pandemia alla crisi sanitaria ed economica, fino all’attuale situazione in Afghanistan.
Questo è un nodo cruciale delle riscritture dei tragici: come avete portato la realtà sulla scena? Non ci aspettiamo di vedere foto o video, né riferimenti diretti all’attualità, ma semmai echi indiretti, mediati, che il pubblico sarà poi libero di cogliere e interpretare: è cosi?
Sì: non amiamo ‘attualizzare’ i testi né dare messaggi diretti e univoci, o ‘istruzioni per l’uso’. Lo facciamo anche in segno di rispetto e considerazione per il pubblico, che è in qualche modo il nostro partner con un ruolo importante nei nostri spettacoli: lasciamo allo spettatore uno spazio ‘aperto’ per interrogarsi, pensare, dare un contributo personale allo spettacolo. In Tutto brucia è inevitabile che si riverberino gli avvenimenti recenti (dalla pandemia fino alla guerra in corso in Afghanistan) ma è già contenuto tutto nelle Troiane euripidee, nell’idea-chiave da cui siamo partiti e che col passare dei mesi si è rivelata quasi profetica: in sintesi è il concetto di post-evento, di ‘dopo’, di day after. La chiave di volta dello spettacolo è che tutto è già successo: se Antigone seppellisce il cadavere del fratello qui le donne piangono i loro morti, la città, l’umanità intera. I fantasmi del passato popolano un presente buio, indistinto, opaco, come il fondale che chiude la scena e non è dipinto, non rappresenta nulla, non serve a proiettare video, rifugge ogni contestualizzazione. Altrettanto indefinito è il materiale che copre il palco, un ammasso indistinto di materia ‘oscura’, cenere nera, scarti, rottami. Questo è il campo visivo e scenico attorno al quale abbiamo costruito lo spettacolo sin dall’inizio coinvolgendo molte persone: innanzitutto _vvxxii, lo scenografo che ha creato i detriti e i materiali plastici, ha scolpito gli oggetti scenici, le maschere, le protesi umane e animali. Poi la Dramaturg Ilenia Caleo e Francesca Morello (alias R.Y.F., performer, cantante e autrice delle musiche) che hanno lavorato insieme su testi di Euripide, di Sartre e altri. Francesca li ha tradotti in inglese, ha composto le musiche e le esegue lei stessa in scena: il suo è un canto di dolore universale, che nasce dal blues e parla di schiavitù e sopraffazione in ogni tempo e luogo del mondo. Anche Stefania Tansini, coreografa e attrice, non solo è in scena ma ha partecipato al processo creativo, con i suoi movimenti scenici e coreografici, con la sua lingua inventata, composta di parole senza senso apparente, eppure altamente evocative, espressive e drammatiche.
In questo modo è come se il delirio di Cassandra nell’Agamennone eschileo non riguardasse solo lei, ma anche le sue ‘sorelle’ troiane come Polissena, vittima sacrificale al pari di Ifigenia. Come si rapportano tra loro, e col coro, asse portante di questa tragedia? Ricordo la storica versione TV di Vittorio Cottafavi, del 1967, dove le attrici emergono dal gruppo giusto per il tempo di recitare la parte, poi vi si immergono nuovamente.
Sì, l’abbiamo vista! In effetti rispetto ad Antigone volevamo dare il massimo rilievo al coro, e inizialmente con le audizioni cercavamo più attrici, ma il percorso stesso ci ha portati fatalmente ad arrivare a un’estrema sintesi: in scena sono soltanto in tre, Stefania Tansini, Francesca/R.Y.F. e Silvia Calderoni. Rispetto alla giovane Antigone interpretata più di dieci anni fa, qui ha una parte più statica e matura, che segna una nuova tappa nel suo percorso di attrice: la Regina Ecuba in Euripide è perno e fulcro, punto di equilibrio del dramma, anche fisicamente; è raffigurata come un corpo informe, un ammasso di membra indistinte. Di conseguenza l’attrice poggia saldamente sulla terra, non perde mai contatto, tiene il baricentro basso e resta perlopiù distesa o reclinata, ripiegata su se stessa, con una postura ferina, bestiale, animalesca…
Per chi non ha letto Euripide è quasi uno spoiler: avete anticipato sulla scena la futura metamorfosi di Ecuba in cagna, che non è nelle Troiane ma nel seguito del mito?
Si, le metafore animali riferite al paesaggio e ai personaggi ci affascinano e le vorremmo approfondire, in futuro, proseguendo il lavoro con un’altra tragedia di Euripide: l’Ecuba.
Martina Treu
Per saperne di più
F. Citti, A. Iannucci, A. Ziosi (a cura di) Troiane classiche e contemporanee, Hildesheim – Zürich – New York, Olms, 2017.
M. Giovannelli, Sulle macerie della città (e di Euripide): le Troiane del contemporaneo, “Stratagemmi” (16, 2010), pp.103-123.
immagine di copertina: © Vladimir Bertozzi _ Arboreto