di Familie Flöz
visto al Teatro Valle Occupato di Roma _ 6-8 marzo 2014
C’è uno scarto di visione sensibile tra gli spettatori che occupano le primissime file della platea del Teatro Valle Occupato, quelli che scelgono i palchi per non disturbare con il vociare dei propri bambini e chi sommessamente sceglie uno sguardo laterale. Questa la posizione di chi scrive, forse attratta da quel fondale nel quale, ad ingresso aperto ma a spettacolo non ancora dichiaratamente cominciato, si sussegue un proiettarsi d’ombre a raccontarci la fine di una storia: qualcuno fatto accomodare in una tomba, una lunghissima processione della quale fanno parte capi chini e bambini sospinti via dagli adulti. Ed ecco l’inizio di Infinita, spettacolo che la compagnia berlinese Familie Flöz, (impegnata in una densa tournée italiana composta da ben quattro spettacoli) ha presentato a Roma.
Quattro gli attori ma ben molti di più i personaggi, identificati da bellissime maschere (maschera totale che è anche costume di pance posticce) impegnati a rendere quel ciclo che intercorre tra la nascita e la morte. Uno spettacolo senza parole, ma capace di trascinare in un vortice tutta la gamma delle emozioni che costituiscono il racconto di una vita. A tenere insieme questi quadri sarà la consapevolezza suscitata da quel funerale e dalla storia che lo precede, sviluppatasi per lo più nelle bellissime proiezioni che come teatro d’ombre racconteranno l’evolversi della vita, nei suoi cambiamenti infinitesimali e visibili solo nella lunga gittata. Non la vita nella sua manifestazione diretta, ma un suggerimento di ciò che potrebbe compiersi da lì a poco.
Quella che i quattro performer mettono in pratica è una poetica della scoperta, attraverso una gestualità ricercatissima nel ricreare come al microscopio le due antipodiche età, l’infanzia degli eventi per la prima volta occorsi e la vecchiaia. Con la senilità si ravviva lo stupore per il recupero di una vitalità sopita, quasi dimenticata. Si riscontreranno fatiche e felici emozioni, dall’alzarsi in piedi e gioire selvaggiamente – senza filtri – al riuscire a camminare (come la prima volta) superando gli acciacchi. Come a dire che l’uomo è sempre lo stesso, umano tanto nei suoi primi istanti quanto negli ultimi, sempre pronto a misurarsi in lotte per instaurare gerarchie, schermaglie serissime e spassose nelle quali il potere è simboleggiato dall’orsacchiotto rubato, trattenuto o amorevolmente ceduto; dalla lotta per il blister di pillole o per il posto a sedere.
La ricerca del movimento, pur amplificato, rimane sempre fedelissima all’idea, non si fa mai grottesca, vive contemporaneamente di freschezza e di un ritmo palpabile, di sguardi al pubblico, di contrappunti su tutto lo spazio scenico. Non si tratta di stupire per un gusto fine a se stesso; se è vero che dall’arte circense gli interpreti di Familie Flöz prendono in prestito alcune modalità d’azione, approdano poi – grazie ad un accurato melange di tecniche più propriamente teatrali – ad un linguaggio autonomo e originale, nel quale il registro della gioia e dello stupore si alterna alla tragedia dell’esistenza. Meravigliosi gli intermezzi durante i quali l’azione è un pretesto per diventare gioco ritmico di altissima fattura, senza che mai le caratteristiche del singolo personaggio vengano smarrite. Allora chi guarda si sente davvero chiamato in causa, quale che sia la sua posizione in platea, riconoscendosi in quelle dinamiche, oppure essendo tirato dentro al gioco, un po’ come quando un grosso pallone verrà lanciato in platea: e allora il parapiglia generale fatto di mani che si sbracciano racconta di questa volontà di partecipare, un coinvolgimento che ci porteremo dietro anche nei momenti circoscritti alla zona del palco. Infinito è il ciclo della vita; il pensiero non finisce con la morte. Si può guardare un rettangolo di luce con un fiore sopra, pensare che sia una bara, ci si può improvvisamente, con scatto d’equilibrista, alzarsi sulle mani e dai braccioli della sedia a rotelle, tendersi, ascendere. Ma il gioco, il ritmo, la vita continuano ancora ben oltre la conclusione.
Viviana Raciti
Questo contenuto è parte del progetto Situazione critica
in collaborazione con Teatro e Critica