di Michele Santeramo / Teatro Minimo
visto al Teatro i di Milano _ 30 gennaio-4 febbraio 2013

Una storia famigliare di ordinaria povertà, fatta di conti perennemente in rosso e delle privazioni più banali che ne conseguono: la monotonia di un pasto che è sempre pasta al sugo o uova fritte, un figlio che non riesce ad arrivare, fino alla necessità di mettere all’asta la propria casa. Questo è La rivincita, nuovo spettacolo di Teatro Minimo scritto da Michele Santeramo con la regia di Leo Muscato. Due fratelli, lavoratori della terra, lottano contro la miseria quotidiana alternando un fraterno aiuto reciproco a un abuso della disponibilità dell’altro. Vincenzo, dopo aver imposto alla moglie di rinunciare a una prima gravidanza perché “non ce lo possiamo permettere”, a distanza di qualche anno si ritrova sterile a causa dei veleni che usava in agricoltura. Avere un figlio diventa la sua unica priorità, obiettivo che pagherà con costose cure e ulteriori sconfitte, per poi vedersene ancora privato, questa volta dai servizi sociali. I problemi di ordinaria gestione famigliare (sfamare i figli per chi ne ha, chiamare un elettricista per riparare il citofono, trovare un lavoro che faccia guadagnare anche solo 15 euro al giorno, sperperare ogni risparmio nella speranza vana di vincere al gratta e vinci) si alternano ai più tragici eventi, che vanno dall’esproprio del proprio terreno alla sterilità, fino alla necessità di trovare migliaia di euro da restituire a strozzini e avvocati.

Il testo dello spettacolo, originariamente una sceneggiatura per il cinema, si costruisce per frammenti, rapidi avvenimenti che si intrecciano a formare un racconto incalzante. Le uscite di scena degli attori – che scompaiono dietro a due pareti nude, unico elemento della scenografia – scandiscono i cambi di luogo, senza lasciare spazio a buchi nel passaggio da una scena all’altra. Il testo, asciutto e schietto, costruisce senza esitazioni l’affresco di una crisi umana e sociale irreversibile, con battute che ritornano come ritornelli – “se non ci si aiuta in mezzo a noi”, “se adesso piangi mi sparo nelle palle” – in una quotidiana miseria che, tra paste al sugo e frittate, porta alla disperazione. L’umanità dei personaggi principali si contrappone alla recitazione caricaturale di quelli secondari, in un contrasto che contribuisce a dare forma a uno spettacolo che non rinuncia all’ironia. Se questa deve essere la tragedia del vivere quotidiano, sembra dire Santeramo, perché non possiamo “prenderci” il diritto a una risata?

In questa tragicommedia che strizza l’occhio a De Filippo (un riferimento costante nel lavoro di Teatro Minimo), a convincere di meno é l’esplicitazione del “lieto fine”, di quella rivincita che dà il titolo allo spettacolo. Se l’intento del drammaturgo è chiaro (sancire che un’inversione delle parti è possibile e che – come più volte i due protagonisti si ricordano durante lo spettacolo – non ci si deve mai rassegnare) gli ultimi dieci minuti sembrano un po’ superflui, con un ché di didascalico. Se questo è il prezzo da pagare per prendersi la propria rivincita – ammiccando allo strozzino e senza poter nemmeno ammettere di avere un figlio non proprio – il lieto fine non può essere del tutto consolatorio.

Francesca Serrazanetti