Il Pinocchio della non-scuola e i Parlamenti di aprile
visto al Teatro Rasi di Ravenna_10-14 Aprile 2013

Il Teatro delle Albe, in occasione dei suoi trent’anni, ha pensato a due modi di festeggiare deliziosamente fuori moda.
In tempi in cui si rinuncia sistematicamente a tutto ciò che non ha una ricaduta materiale, tangibile, rendicontabile, le Albe hanno invece dato vita ai Parlamenti di aprile: pomeriggi di discussione sull’attore, la drammaturgia, i linguaggi della scena, la non-scuola.
A confrontarsi su questi temi sono stati – così hanno scritto Marco Martinelli e Ermanna Montanari, in un quaderno di lavoro confezionato ad hoc – “un gruppo di amici (…) che, da pochi o da tanti anni, hanno intrecciato il loro andare con il nostro”.
Presenti, tra i molti altri, studiosi come Fausto Malcovati, Martina Treu o Gerardo Guccini, critici come Massimo Marino, Renato Palazzi o Claudia Cannella, compagni di strada delle Albe come Mandiaye N’Diaye. Se siete curiosi di sapere cosa è emerso nei Parlamenti ravennati, non vi resta che aspettare la pubblicazione degli atti che dovrebbe – nell’auspicio degli organizzatori – raccogliere tutti gli interventi degli intensi giorni di dibattito e scambio avvenuti tra l’11 e il 14 aprile.

Stratagemmi ha partecipato al Parlamento dedicato all’avventura della non-scuola: e qui – partendo da Aristofane, passando per Majakovskij e arrivando fino al Living Theatre – si sono ripercorsi i molti ‘numi tutelari’ dell’esperienza che ha forse più fortemente caratterizzato l’identità e l’anima delle Albe. Ad aprire la discussione e a scaldare i pensieri è stato un film di Alessandro Renda e Francesco Tedde sull’edizione veneziana di Eresia della felicità: uno spettacolo unitario – o meglio un esplosivo tributo a Majakovskij – nato da diversi laboratori di non-scuola tenuti tra Asseggiano (zona periferica di Mestre), Venezia centro e Marghera. La testimonianza video di Renda è coinvolgente e appassionata, come può essere un frammento di vita rielaborato da chi l’ha nella sua storia e sotto la pelle. Gli applausi dei presenti al film sono calorosi e commossi, ad affermare l’adesione e l’ammirazione per quell’utopia realizzata che la non-scuola pare ogni volta in grado di attuare. Una scommessa che Marco Martinelli e le Albe sembrano continuamente voler rilanciare, ampliare per dimensioni e impatto.

Ed ecco perché Pinocchio, in scena negli stessi giorni dei Parlamenti, è allo stesso tempo una naturale conseguenza delle passate esperienze e una follia mai tentata, un traguardo nuovo e sorprendente. Se già Eresia della felicità – tanto della sua edizione veneziana tanto in quella presentata a Santarcangelo (leggi la recensione di Stratagemmi) – mirava a riunire in un’unica performance diverse esperienze laboratoriali, questo meraviglioso Pinocchio fa un passo ulteriore. Il primo dato è quello numerico: sul palco, al Teatro Rasi, ci sono oltre 200 adolescenti, di ogni età, provenienza, colore, peso, altezza. Il secondo dato è quello scenico-drammaturgico: in soli 15 giorni di prove collettive, Marco Martinelli (con l’aiuto delle instancabili guide) ha messo insieme uno spettacolo unitario, che procede da episodio a episodio senza strappi né cesure.

Seduti tra il pubblico si resta commossi, strabiliati, quasi schiacciati dalla fiumana rosso-vestita di corpi, anime, volti, capelli, che invade il palco e il campo visivo; si guarda la scena a bocca aperta, cercando di spiegarsi come il teatro Rasi possa contenere un simile tornado, come le guide riescano a mantenere un ordine e una disciplina così precisi, come Martinelli sia riuscito in una simile sfida.
Ci si perde a guardare i gruppi che vibrano ai lati della sala in attesa di un nuovo ingresso, mai distratti, mai esterni al rito teatrale, mai sazi di quel loro furore adoloscenzial-dionisiaco. Ci si smarrisce a osservare questo o l’altro volto, ad ascoltare un accento brasiliano o romagnolo, a cercare di imprimere nella retina disorientata qualche istante di quella continua danza.
E viene da pensare, così come a Montale di fronte al tuffo di Esterina: “vi guardiamo noi, della razza di chi rimane a terra”.

Maddalena Giovannelli