di e con Alessandro Bergonzoni

Regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi

Visto al visto al Teatro Elfo Puccini di Milano _ 8-20 Marzo 2011

Lo spettacolo di Alessandro Bergonzoni è una centrifuga nella quale lo spettatore entra, ignaro, per uscirne un’ora e mezza più tardi arruffato, svuotato, frastornato. Di fronte ai primi attacchi – fatti di parole a raffica, calembour, nonsense, giochi di prestigio verbali che rivelano il loro significato quando l’attore ha già cambiato tavolo – viene istintivo porre qualche resistenza. Ci si concentra sulle risate troppo fragorose di parte del pubblico, su una singola battuta che pare non particolarmente riuscita o non sufficientemente raffinata, ci si ostina a passare la drammaturgia ad un vaglio inutilmente logico o razionale.

Poi, d’improvviso, ci si trova disarmati e si viene trascinati, senza più reticenze, nell’universo stralunato e irresistibile dell’autore e attore bolognese. È del resto lo stesso Bergonzoni a fornire, fin dall’esordio, la chiave per accedere al linguaggio dello spettacolo: nel prologo, recitato a sipario chiuso, l’attore racconta un lungo sogno, popolato da un sottobosco di personaggi improbabili, tra cui basti citare un incartatore di serpenti e un baco da sera. Ma è lo sguardo di Bergonzoni sul sogno a fare la differenza: mai sottolineato, mai inutilmente enfatico (come tanta comicità televisiva a cui siamo abituati), sempre distaccato, perplesso, straniato.  Ed è proprio la sensazione di straniamento, la percezione onirica, il codice di surrealtà ad essere la cifra dello spettacolo e della stessa comicità di Bergonzoni: come accade nei sogni, o in altri imprevedibili momenti di veglia, è l’improvvisa incapacità del nostro sguardo di comprendere o di adeguarsi a ciò che vede, di farlo rientrare in un canone di normalità a portare al riso. E nello spettacolo si ride, volenti o nolenti, spesso senza sapere esattamente perché.

Ma non è questo il solo scopo del gioco; perché c’è qualcos’altro che, come ricorda il titolo, urge, e perché l’idea stessa di teatro di intrattenimento è qualcosa che offende l’autore. Naturalmente, quel che urge non è mai esplicitamente rivelato al pubblico. Ma si tratta, come si legge dalle brevi note di regia e dai molti contenuti del sito (alessandrobergonzoni.it ) di un vero e proprio “voto di vastità”: una richiesta e una necessità di complessità, di allargamento, di un “oltre” –  come ama dire Bergonzoni – che faccia da argine alle semplificazioni, alle eccessive specializzazioni, alle chiusure del nostro mondo. Ed è qui che la poetica di Bergonzoni si fa, pur copertamente, militante: è in questa vastità, in questa irriducibile complessità, che sta l’antidoto alle degenerazioni della società contemporanea.  Per cambiare le cose, non serve chiamare per nome i protagonisti della politica, né fare satira: serve – come ha spiegato l’autore nell’incontro presso l’università IULM, lo scorso 9 Marzo – una più vasta operazione di formazione e rifondazione dell’animo stesso dell’uomo. Se credete, chiamatelo intrattenimento.

Maddalena Giovannelli