«La techno mi ha salvato la vita, perché l’unica cosa che riesco a fare è ballare per non pensare». Ballare per non pensare è un concetto che si ripete più volte e riecheggia nella corte di un vecchio cascinale. Poi la musica riprende con il volume al massimo, in uno spazio dove non ci sono confini evidenti: attori e pubblico ballano insieme. In questa danza sfrenata, si dimenano sentimenti contrastanti, gettati fuori a ritmo di suoni che entrano dentro e a cui non resta che abbandonarsi.
Si conclude così la suggestiva Boiler Room Generation Y di Ksenija Martinovic, un’opera site specific realizzata all’interno della Cascina Scaroni, nel centro di Borgosatollo, dove dj set di musica techno si intersecano con una narrazione che riflette il tempo presente in tutte le sue contraddizioni.
Una boiler room è un dj set in streaming in cui la telecamera è fissa sul dj, con le persone alle sue spalle che ballano e una prospettiva privilegiata per chi, in presenza, può osservare oltre lo schermo. Le boiler room offrono la possibilità di connettersi a eventi musicali da tutto il mondo, superando distanze e confini, permettendo a chi partecipa on line di godere della musica e di un’inquadratura ravvicinata su console, dj e “boileristi”. Si tratta di una dimensione collettiva condivisa attraverso uno schermo, un’opportunità di connessione globale che fa riflettere sul significato dell’essere parte di qualcosa oggi.
A parlare nella performance è la generazione Y, figlia di una società di massa inconsistente, globale, in cui non si crede più a nulla, in cui tutto è “fast” e “low cost”, dove si può essere fluidi e liberi, ma non per questo più felici. Si tratta di alcune riflessioni proiettate su schermo che appaiono durante lo spettacolo in forma di brevi interviste; sono persone che raccontano le proprie difficoltà connesse al presente, ma soprattutto parlano della musica techno, per molti percepita e vissuta come una via di fuga e di salvezza, un’esperienza di connessione reale, capace di trasportare in un luogo altro, lontano da pensieri e afflizioni. «La musica ti dà l’illusione di essere importante e connesso, un’esperienza multisensoriale che ti risuona dentro»; «la techno è folle frenesia, la musica ti entra dentro e non ci si può ribellare, seguirne il ritmo diventa fisiologico», dicono.
Ballare assume una connotazione tribale, è la ricerca di una dimensione estranea al mondo e ai suoi problemi, uno spazio di libertà dove muoversi fino a sentirsi più leggeri.
Le parole si alternano alla musica, in un luogo privo di barriere tra pubblico e performer che danzano e si confondono tra la gente; sullo schermo si susseguono streaming di diversi dj set mentre le persone si lasciano trasportare dalla musica. D’improvviso quattro performer si schierano di fronte al pubblico; continuano a muoversi ma le immagini proiettate alle loro spalle cambiano completamente: assistiamo ora alle scene più crude della guerra in atto a Gaza; chiudono gli occhi e con le braccia al cielo continuano la loro danza, il suono delle sirene non li raggiunge, né il pianto o il rumore delle macerie. Tra il susseguirsi di video e foto, testimoni di un vero massacro, compare un video in cui Sama’ Abdulhadi, dj palestinese e attivista a cui lo spettacolo si ispira, assiste in prima persona agli effetti di una strage sconsiderata, che imperversa sotto gli occhi di un mondo a cui chiede furiosa: «Where the fuck are you?».
Seguono scene di manifestazioni che attraversano il mondo, passando per Roma, Londra, Berlino, piazze riunite in un coro che chiede la fine della guerra; un’eco globale che s’infrange contro l’indifferenza generale.
La musica cresce e la danza si fa spasmodica, i ballerini avanzano e Ksenija Martinovic entra in scena con un monologo che si interroga sull’indolenza collettiva che sembra dominare le coscienze, su come sia possibile che non curarsi di una guerra che ogni giorno entra nelle nostre case attraverso tutti i mezzi di comunicazione, raccontando un tempo presente composto più da spettatori che da partecipanti. Le persone sembrano osservare il mondo attraverso uno schermo che appanna, in cui si alternano bombe a pubblicità progresso, dove l’ipocrisia impera e un senso di impotenza e di sopraffazione inducono alla fuga. Viviamo in una società satura di informazioni che descrivono un mondo con cui è difficile interfacciarsi e da cui a volte diventa necessario prendere le distanze.
Boiler Room Generazione Y è allora uno spettacolo che disarma, un’indagine sulla società contemporanea e i suoi figli, una musica che pervade, in cui trovare una leggerezza anche quando la terra trema, «un’intimistica esperienza di connessione globale».
Maria Chiara Bontempi
immagine di copertina: immagini 9dots film
BOILER ROOM – GENERAZIONE Y
creazione e ideazione Ksenija Martinović
performer Federica D’Angelo, Alessio Genchi, Ksenija Martinovic,
Matteo Prosperi, Margherita Varricchio
coreografia Matilde Ceron
sound design Andrea Peluso e Emanuele Pertoldi
video Sonia Veronelli
light design Alice Colla
foto di scena Marcella Foccardi
Menzione Speciale Premio Scenario 2021
Progetto in residenza a Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin e a Teatri di Vita nell’ambito del programma Artisti nei territori della Regione Emilia Romagna
La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a Genera Azione Festival