con Roberta Bosetti
regia di Renato Cuocolo
nell’ambito del Festival “Da vicino nessuno è normale”_ 7-11 luglio 2014

Dopo aver portato il pubblico nell’intimità della casa, aver accorciato le distanze spettatore/attore fino quasi ad annullarle, dopo aver alterato programmaticamente le tradizionali modalità della fruizione teatrale, la compagnia Cuocolo/Bosetti rilancia la sfida con The Walk.
Dal palco circoscritto di una stanza – cornice preferita dal duo nei precedenti lavori – la nuova performance conduce il pubblico in uno spazio aperto e potenzialmente illiminato: la città. Venti spettatori sono invitati ad una camminata per il centro di Milano, guidati da una voce femminile in cuffia: il lutto per un amico diventa tema dominante per una condivisione che si fa allo stesso tempo collettiva e personalissima. Quella di Cuocolo/Bosetti non è la prima esperienza a portare lo spettatore in un attraversamento dello spazio urbano per mezzo di sollecitazioni vocali: da Walk in Venice dei Rimini Protokoll (presentato alla Biennale Teatro nel 2011) al più recente Agoraphobia di Lotte van den Berg (Santarcangelo; B-Motion 2013), molti sono gli artisti che hanno cercato di abbattere i limiti tra realtà e finzione, e quelli tra attore e osservatore.
Ma a prevalere sulla sperimentazione spaziale è, in questo caso, la relazione intima con l’esperienza raccontata: un viaggio in iper-soggettiva che perde i connotati di esplorazione urbana e diventa scandaglio del paesaggio interiore.
Stratagemmi ha chiesto a quattro spettatrici di condividere la propria personale esperienza di fruizione.

“Crediamo di avere un tempo infinito per vedere, amare, vivere le persone care. Crediamo di avere un tempo infinito per dialogare con loro. Invece il destino è imprevedibile, e l’assenza – risoluta, definitiva, irreversibile – subentra alla presenza. Scompare la voce, anche nel ricordo, labile e inaffidabile come l’arte, come la vita.
Su questi e altri temi induce a riflettere The Walk, in un rapporto sinestetico tra parola, immagine, movimento; si intrecciano i flussi di coscienza, e il racconto della voce narrante diventa pretesto per un percorso nei propri pensieri”.
Lucia F.

“Mappare i propri sentimenti su quelli di una città, di chi ci vive, per dare loro un senso. Si inizia ascoltando in cuffia un elenco scandito dai numeri ordinali che presenta diverse immagini, tutte atroci, quasi sconnesse: sono fermi immagine, come fermi sono i venti spettatori che prendono parte alla performance. Poi si parte, camminando  – letteralmente – sul filo dei ricordi che si agganciano e si mescolano agli incessanti stimoli della realtà urbana circostante. Ma non si tratta di pensieri alla rinfusa, perché a condurre i venti spettatori/camminatori è la voce di una donna che attraverso delle radiotrasmettenti mette in scena un’elegia per un amico scomparso. Le immagini del suo racconto – spesso violente, concitate – dialogano con gli scorci urbani che si aprono nel cammino, si espongono, nel movimento che generano, agli occhi dei passanti che incrociano il gruppo. Il campo scenico si divarica, o meglio, si articola su due piani: i destinatari dello spettacolo diventano ascoltatori, i passanti spettatori. The Walk sollecita così diverse sfere sensoriali, coinvolgendole in un continuo movimento, quello della camminata”.
Sara S.

“Bella l’idea dei due passi intorno al Duomo, in cuffia la voce di lei che racconta il lutto per il suo amico. Ma il testo non brilla, le distrazioni da movimento sono troppe e il tutto si risolve in due poco meditabondi passi intorno al Duomo”.
Cristina C.

“Come quando si cammina distratti da un pensiero insistente, il paesaggio esterno perde progressivamente rilevanza fino quasi a scomparire. Si parte osservando con interesse – e con un tempo dilatato che normalmente non ci concediamo – Piazza del Duomo, e si termina lasciando scivolare uno sguardo noncurante su vetrine e insegne. Ci comportiamo come chi non riesce a scacciare un tormento o un dolore, incapaci di concentrarci su ciò che abbiamo intorno: eppure il nostro è un dolore “in prestito”, appartiene alla voce che ci guida, non a noi.
Oppure no?”
Marta L.

(a cura di Maddalena Giovannelli)