di Josep M. Benet i Jornet
regia di Francesco Brandi
visto al Teatro Filodrammatici _  2-7 dicembre 2014

Se una sera d’autunno inoltrato una donna si reca a teatro; se assiste alla messa in scena di un autore che non ha mai letto, di cui conosce solo le poche righe di presentazione sulla locandina; se ha comprato il biglietto perché il titolo della pièce l’ha incuriosita; se quella spettatrice si trova in una sala dove siedono quasi esclusivamente donne; se a metà dello spettacolo sente tirar su con il naso, si accorge che la sconosciuta vicina di poltrona ha gli occhi lucidi; se sente poi a sua volta un nodo in gola, ma per pudore non piange; se accade tutto questo, in una pigra serata milanese, cosa vuol dire? Che è nel posto sbagliato? Che è capitata per errore in un cinema, in un film natalizio di sentimenti di plastica e amori in formato fiction? Che è in una sera di particolare fragilità psicologica, acuita dalle prime luminarie di Natale e dalla solitudine prefestiva? Oppure che il testo messo in scena, nella sua disarmante semplicità espressiva, nella sua essenzialità, nella mimesi dei caratteri, nel suo rispecchiamento della realtà, è un dramma perfetto?

Una donna, anziana ma non vecchia nell’animo, vive da sempre in affitto in una casa che è invecchiata con lei, ormai indifesa e malata, tuttavia ancora capace di inseguire lo stesso sogno che aveva da bambina. Un’altra donna, giovane ma distrutta nell’animo dalle vicende della vita, le fa da badante per necessità. Le due donne – che restano anonime – dialogano, si confrontano, litigano, si raccontano; abbiamo già sentito le loro frasi, nelle case nostre e altrui, sono frasi di ogni giorno e proprio per questo perfette frasi teatrali. Obbligate a condividere uno spazio angusto, fatiscente, senza alcuna prospettiva fuori se non un uno sporco ballatoio, le due donne parlano tra loro così come si parla in ogni cucina, per strada, nelle camere da letto: l’odio si alterna al risentimento, la paura alla fiducia, lo scoraggiamento all’entusiasmo, il rimpianto alla speranza. La vecchia sostiene persino la giovane, mentre in quest’ultima cresce un affetto verso l’altra senza compassione. È un legame basato su esperienze comuni di figlie, mogli, madri, costrette a ballare in equilibrio sul vulcano della vita. Qualche volta si precipita: ed accade una tragedia, che non diremo; ma resta il coraggio di scegliere, con il senso pratico femminile (non anticiperemo nemmeno la soluzione della vicenda). Quel legame, nato per caso, si rivelerà indissolubile. In scena due donne come tante, come tutte, che vivono pienamente, intensamente, le loro età ed anche le loro nostalgie e le loro aspettative, che si trincerano dal mondo troppo ostile e spietato e infine ottengono almeno di non essere più molestate dalla altrui insensibilità e da facili morali. Perciò qualunque donna non può che commuoversi davanti a questo metaforico ballo misurato, consapevole, crudelmente reale. Ma cosa è la realtà se non un perfetto argomento drammatico?
Ottime in scena Maria Grazia Sughi ed Eleonora Giua. Il drammaturgo Josep M. Benet i Jornet, qui tradotto da Piero Tierno, andrebbe meglio conosciuto nelle scene italiane.

Sotera Fornaro