a cura della redazione

Da nord a sud, dal Tirreno all’Adriatico, dalle piazze ai grandi teatri d’epoca, dai più acclamati nomi internazionali alle compagnie locali emergenti. Eccola l’Italia dei festival di teatro, di danza, delle performing arts e delle contaminazioni. È un paese dalla geografia inaspettata, che dalle colline torinesi scende fino alle pianure di Andria, passando per una centrale elettrica nel cuore del Trentino, facendo una sosta nell’arroccata Spoleto, fino ad arrivare alla teatralissima Romagna.
È in questa sorta di paese parallelo che, durante i mesi estivi, il teatro italiano scopre le sue carte migliori.

Dopo il numero estivo tutto dedicato al del Festival Teatro Italia di Napoli, il giovane principe dei Festival italiani che si muove nel tentativo di unire nomi di richiamo e giovani scommesse, abbiamo questa volta spostato l’attenzione all’universo composto da tutte quelle manifestazioni che sono in grado di tracciare, spesso con qualche stagione di anticipo rispetto ai cartelloni dei centri teatrali riconosciuti, le linee guida del nuovo teatro italiano.
“In questa galassia si possono riconoscere diverse tipologie”, riflette Andrea Porcheddu, critico teatrale di delteatro.it e docente di metodologia della critica dello spettacolo allo Iuav di Venezia, 
in una conversazione con Stratagemmi. “Ci sono i festival di ricerca, dai quali emergono nuovi nomi, una nuova rete, una nuova necessità di fare teatro: sto pensando a Dro, Bassano, Andria, Terni”. È insomma qui, lontano dai centri culturali riconosciuti, che si mettono in luce alcuni dei nomi più interessanti della scena off italiana, quelli che, nella maggior parte dei casi, dovranno attendere una o due stagioni per trovare posto nei cartelloni dei teatri più noti, o che forse non vi entreranno mai. È qui che le piccole e promettenti compagnie si fanno le ossa davanti a un pubblico ristretto, spesso composto da addetti ai lavori o da quei critici che vogliano scoprire per tempo gli enfants prodiges. “Poi, ci sono i festival di caratura internazionale, come Spoleto, che tracciano, certamente in grande, uno stato dell’arte della miglior produzione internazionale” aggiunge Porcheddu.

Senza pretesa di esaustività, abbiamo cercato di ricostruire la geografia delle rassegne più significative, seguendo la direzione evidenziata sopra.
Il nostro viaggio comincia proprio dal colosso che ha già più di mezzo secolo, il Festival dei due mondi di Spoleto, ancora capace di far approdare ogni anno giganti della scena come Brook e Wilson. Ma oggi è da segnalare il suo tentativo di rinnovarsi, di stare al passo coi tempi, di mutare per non morire.
Da Cividale del Friuli risponde puntando in alto anche il Mittelfest, che quest’anno ha riunito Nekrosius con l’Idiotas e Elio Germano in Thom Pain, il monologo dell’americano Will Eno, finalista al Premio Pulitzer 2005. Accanto ai grandi e noti, a Cividale c’è posto anche per i gruppi di ricerca, come i romani Muta Imago, che hanno presentato la loro Trilogia della memoria.
Si propone invece come una “vetrina di novità teatrali firmate dai protagonisti della creazione contemporanea italiana e internazionale” il Festival delle Colline Torinesi, da quindici anni appuntamento fisso nelle sale storiche e in luoghi inediti di Torino e dintorni. Dal 2004 il Festival fa parte di Iris, la rete teatrale del Sud Europa che raduna rassegne, teatri e centri di ricerca di Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Belgio: da qui passano e vengono promossi nomi italiani e stranieri che poi approdano in tournée nel nostro paese o in Europa.
Ci sono poi Volterrateatro e Santarcangelo dei teatri, due storici nomi delle rassegne estive.
Il primo è giunto ormai alla 24esima edizione: al suo ruolo ormai consolidato e al suo forte e stabile insediamento sul territorio, Volterra affianca la sua vocazione di osservatorio della sperimentazione. “Si tratta di un caso sui generis”, commenta Porcheddu, “connotato com’è dalla magnetica presenza del teatro della Fortezza e del suo direttore artistico Armando Punzo”. A ispirare l’ultima edizione è il “preferisco di no” di Bartleby lo scrivano: la coscienza di un’alterità, dunque, rispetto al teatro di establishment, la consapevole rinuncia a rendersi più popolare.
Il secondo, diretto quest’anno da Enrico Casagrande dei Motus, ha compiuto quarant’anni e continua a definirsi Festival internazionale del teatro in piazza, rivendicando la sua peculiarità di kermesse partecipata, dove sono gli artisti stessi a imprimere una direzione al cartellone della rassegna.
Sull’onda della sperimentazione hanno negli anni preso avvio molti altri festival di ricerca, imboccando ciascuno la propria strada e provando a inventarsi ciascuno una cifra distintiva per venire riconosciuti e crearsi un’identità in questa variegata galassia.
Ecco allora che negli spazi della Centrale Idroelettrica di Fies, a Dro, ha trovato sede Drodesera, un inesauribile festival-percorso fra i fermenti più innovativi della scena odierna, molti dei quali hanno trovato proprio nella Centrale una residenza e un punto di riferimento in grado di supportare, accogliere e far decollare il loro lavoro.
A Forlì si tiene invece Ipercorpo, il festival del gruppo Città di Ebla, emblematicamente dedicato quest’anno al tema delle trasformazioni, della giovane scena mutante, dell’arte che si sposta di continuo da una forma all’altra.
Più a sud, ad Andria, il Festival Castel dei mondi, che ha respiro europeo e transadriatico, ha ospitato quest’anno alcuni spettacoli realizzati da compagnie pugliesi grazie al progetto delle Residenze Teatrali e un lavoro nato dalla collaborazione con un gruppo di giovani rom, attori non professionisti.
Il Veneto, in questo momento uno dei motori e dei principali vivai del rinnovamento teatrale italiano, si è fatto avanti quest’anno con il neonato festival Sguardi, che ha offerto, con 18 spettacoli in tre giorni, un puntuale osservatorio sulle molteplici energie creative nate sul territorio, dagli Anagoor con Rivelazione, a Vitaliano Trevisan con un’anteprima del suo nuovo spettacolo. Poco lontano, a Bassano del Grappa, B.Motion seleziona da qualche anno alcune delle più interessanti proposte off della regione.
Per l’Umbria la fucina è Terni con i suo Es.terni che ha riunito in cartellone alcuni dei più interessanti progetti teatrali dell’ultimo periodo: Ermanna Montanari con Rosvita, Ricci/Forte con Macadamia Nut Brittle, la performance Signorine di Virgilio Sieni e poi Dies irae. Cinque episodi intorno alla fine della specie del Teatro Sotterraneo. Mostre, film, spettacoli, performances hanno poi animato anche il Festival Eruzioni, con i sempre presenti Ricci/Forte (Wunderkammer Soap # 3_Tamerlano) e i già noti Santasangre insieme ad alcune giovani compagnie della regione: gli Amigdala – Le chemin des femmes, il Teatro dei Venti e il gruppo Onphalon.
Molti sono i fili rossi che collegano questa mappa: a unire i diversi punti non sono solo le compagnie col loro passaggio da una kermesse all’altra, ma anche le esigenze e le necessità artistiche, che spesso sono le stesse fra i vari festival che pur sono disseminati in tutta la penisola e che hanno età e percorsi differenti. Prima tra tutte quella di creare una realtà altra, che dica “preferisco di no” alla cultura teatrale (e non solo) dominante. La consapevolezza, poi, che il teatro per sopravvivere deve oggi innovarsi, sperimentare, attingere a fonti differenti e non soltanto teatrali: ben lo sanno Santasangre, Città di Ebla, Teatro Sotterraneo, e tutti quei gruppi che hanno inaugurato la via della contaminazione. Infine la necessità di favorire quegli incontri innanzitutto umani che vivono a margine del fenomeno festival, e che ne costituiscono, per molte compagnie, l’essenza: qualcosa per cui vale la pena organizzare una manifestazione, qualcosa che sarà in grado di influenzare l’attività produttiva di tutto l’anno.

E adesso? Cosa resta di questo irrinunciabile fermento ora che la stagione si raffredda? Alcuni, certo, raccoglieranno il testimone.
Per esempio il Roma Europa festival, che quest’anno festeggia la sua 25esima edizione con 38 appuntamenti e prime internazionali. Dalle performance visive alla sperimentazione musicale, dalla danza acrobatica al teatro dissacratorio, è una delle manifestazioni più attese della capitale che terrà banco per tutto l’autunno. Robot danzanti, installazioni video, minimalismo scenico, fusione tra rock e classica si alterneranno su nove palchi, con nuovi nomi e habitué del festival come Romeo Castellucci, Guy Cassieres, Josè Montalvo, Dominique Hervieu, Laurie Anderson , Santasangre, Babilonia Teatri e Muta imago. Il tutto in un’armonica convivenza tra tradizione e innovazione.
Ma c’è anche il nuovo Prospettiva 2, il festival diretto da Mario Martone e Fabrizio Arcuri, con l’organizzazione dello Stabile di Torino, al secondo compleanno. Per un mese, a partire dal 15 ottobre, sul palco, ancora una volta piemontese, si alterneranno più di 50 spettacoli, 21 prime nazionali e 18 opere internazionali, tra le quali due debutti di Alain Platel e Rodrigo Garcia. Senza dimenticare, i più apprezzati della scena odierna, da Latella a Martinelli, e i quasi emersi con le carte in regola per sfondare: da Babilonia Teatri a Teatro Sotterraneo.
In alcune città poi si cercherà di ricreare simili occasioni di incontro e di scambio: come farà per esempio, a Milano, il Teatro delle Moire con il suo Danae Festival organizzato dal teatro delle Moire (cfr. “Stratagemmi” 10, pp. 235-240).
Alcune delle compagnie e dei nomi più acclamati entreranno nei cartelloni, altri forse no, certamente non in tutti i teatri. “Ma è il modo stesso di fare teatro che viene profondamente modificato dai gruppi che hanno costellato i festival”, conclude Porcheddu. E con questo bagaglio si torna al lavoro. Preparando idee per il prossimo anno.