Bermudas Forever sembra edificato su una sorta di “principio di movimento” che alimenta tutta la performance. Di cosa si tratta?
Con Bermudas Forever volevo ipotizzare un meccanismo di moto perpetuo e costruire complessità attraverso regole molto semplici e fare in modo di lasciare sempre di più in mano ai performer la costruzione ritmica del lavoro. Soprattutto volevo rendere esplicito il principio per il quale, per me, la danza si compie necessariamente “fuori”, ragion per cui ho ipotizzato un ambiente circostante pieno di persone, affollato. La sfida è stata poi poter costruire un meccanismo a partire dalla sua messa in crisi, fino a creare una condizione che permettesse a questo ambiente di evolversi senza perdere di efficacia. Ho compreso che per creare queste condizioni dovevo rifarmi a dei sistemi legati alle teorie del caos e alla meteorologia – correnti di pensiero che mi interessano da sempre. Non è stato semplice, perché, per costruire la partitura, sono passato attraverso vari tentativi matematici, cercando però di non renderla schematica o rigida. Ciò che portiamo in scena è l’apparizione e poi la gestione di una turbolenza, ma il lavoro non è per niente improvvisato: è nato da una strutturazione rigorosissima all’interno della quale ci sono delle possibilità, seppur limitate.
Cos’è per te il concetto di limitazione?
Tutta la questione del ritmo è legata a una limitazione. L’appoggio di un sistema formale strutturato accanto a una nube ignota crea una limitazione, che a sua volta crea ritmo. La limitazione è, in altre parole, una condizione esplorativa che mi consente di avere un pezzo capace ogni volta, nonostante le moltissime repliche, di prendere forme differenti.
Un aspetto fondamentale di Bermudas Forever riguarda l’interazione con il pubblico. Quanto incide sulla resa e quanto la situazione sanitaria attuale ha modificato la fruizione dello spettacolo?
La situazione sanitaria attuale ha influenzato significativamente l’aspetto di interazione con il pubblico, quasi azzerandolo e creando una vera costrizione nella gestione dello spettacolo. Il sistema infatti è basato su regole semplici, ma l’oggetto non è solo visuale, ha al suo interno delle correnti, delle temperature, delle intensità che offrono punti di vista diversi rispetto al visivo. Fin dall’inizio ho pensato che sarebbe stato interessante trasmettere il sistema a qualcun altro, anche a partire dalla sensazione tattile della percezione della distanza e della vicinanza. L’immissione continua di corpi, e quindi di modalità differenti, esalta un meccanismo che per esistere deve trovare sempre un nuovo equilibrio. È stato interessante vedere come chiunque possa reagire a quel sistema di informazioni e trovare una risonanza con ciò che avviene in scena, anche se non tutto si può spiegare. In un presente fatto di distanziamento e di emergenza sanitaria, uno spettacolo simile è chiaramente il più vulnerabile perché mancano le condizioni per poterne fruire appieno.
Pubblico e performer come si devono preparare ad affrontare il viaggio verso Bermudas, una zona geografica non propriamente sicura?
Credo che in questo viaggio ci sia una strana dolcezza, perciò non serve una preparazione, ma un giusto grado di arrendevolezza, da una parte e dall’altra. Bermudas Forever è un gioco che ha come scopo quello di mettere qualunque corpo nella possibilità di percepire la corrente che attraversa la scena. Il gioco funziona solo se quello che viene portato in scena dipende strettamente dalla situazione che crea il pubblico, chiamato in questo spettacolo ad avere un ruolo attivo, partecipe. Ciascun performer ha una partitura da rispettare, ma di volta in volta è in grado di selezionarla e adattarla a chi ha di fronte. Questa capacità di confrontarsi con l’immediato si riflette anche in altri miei ultimi lavori, penso per esempio a Pezzi Anatomici – uno stato eternamente nascente, la cui sottotraccia rispecchia perfettamente la creazione e la messinscena di Bermudas Forever.
Perché in questo momento è importante la danza come espressione corporea?
Credo fermamente nella capacità della danza di predisporre il corpo a far sì che lo spazio esterno possa essere diverso. Il corpo è la misura di tutto e una certa postura apre sia alla capacità di accogliere, sia a considerare lo spazio come un luogo attraversato da altri corpi. Leggendolo così, il mondo assume un aspetto più permeabile, più poroso. Di fatto questo nostro particolare momento storico ha fatto emergere da un lato una vigilanza che è cautela, ma dall’altro anche una cura e un’attenzione a ciò che c’è attorno a noi. Qualcosa è cambiato, ma sta a noi riuscire a leggere questo cambiamento come una risorsa e non come un peso.
Agnese Di Girolamo
(In copertina ph: Andrea Macchia)
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview