di Gabriele Paolocà
diretto e interpretato da Michele Altamura, Riccardo Lanzarone, Gabriele Paolocà
visto al Teatro Ringhiera di Milano_13-16 febbraio 2014

“L’unica cosa che condividiamo io e te è la sottomissione. È il non sapere se ci spaventa di più questo potere che ci schiaccia o la nostra infinita capacità di sopportarlo”.
A discutere sono un uomo di legge e un giornalista: non individui, ma maschere grottesche che attendono, in un cesso elevato (o abbassato?) a gabinetto politico, l’arrivo della terza maschera. Quella del Potere.
A regalare al pubblico milanese questo ritratto inquietante del paese in cui viviamo sono gli attori della giovane compagnia pugliese Vico Quarto Mazzini, tornati sul palco del teatro Ringhiera con Diss(è)nten, spettacolo secondo classificato al PlayFestival 2013. Accompagnati da una scenografia essenziale – costituita da tre candidi wc – gli  interpreti di questa favola nera si esprimono con battute serrate e gesti meccanici, come burattini che devono il loro movimento alla volontà di un altro.

Diss(è)nten è un gioco di relazioni fra tre poli: da un lato Formichina (interpretato da Riccardo Lanzarone), un nevrotico azzeca-garbugli che dedica la propria esistenza a difendere potenti corrotti e a redigere per loro leggi consapevolmente inique; dall’altro Lumachina (Michele Altamura), rappresentante di una stampa completamente asservita e ridotta a organo di propaganda; il terzo polo, verso il quale gli altri due convergono, è l’emissario dei Tribuni (Gabriele Paolocà), simbolo di un potere avido, spietato e criminale. I Tribuni sono pronti a sferrare il loro ultimo attacco alla società: una legge che impedisca qualsiasi relazione tra esseri umani. È in questo quadro di estrema sopraffazione che emerge un anelito di rivolta, la possibilità – ormai quasi dimenticata – di disertare. Ma le ragioni del ricatto vengono presto a spezzare l’alleanza dei due servi contro il loro padrone: dei due sopravvive chi cede, chi dissente viene annientato.

Diss(è)nten si regge sull’interpretazione intensa e generosa dei tre attori protagonisti, che firmano lo spettacolo con una regia condivisa. Il testo di Gabriele Paolocà rivela una lucida capacità di analisi dei meccanismi del potere, anche se il tentativo di ‘smascherare’ un mondo politico corrotto attraverso metafore chiare e facilmente comprensibili corre, a tratti, il rischio di un’eccessiva semplificazione. Quando il ritmo incalzante delle brevi battute lascia il posto a veri e propri monologhi, la drammaturgia prende un altro respiro: un assaggio delle potenzialità del giovane autore, un punto di partenza promettente per i prossimi lavori.
La compagna Vico Quarto Mazzini ci offre, nell’insieme, un esempio fresco ed efficace di teatro politico contemporaneo: la possibilità di illuminare il presente, anche quando la luce è un’inquietante riflesso bluastro che proviene dal fondo di un cesso.

Alice Patrioli