Edward Lorenz, nel 1963, pubblicò per la New York Academy of Science un documento in cui scrisse che «un battito di ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre». In questo caso, il “battito d’ali” di quello che in seguito sarebbe stato conosciuto come “Effetto Farfalla” è uno scambio tra prigionieri avvenuto a inizio anni Sessanta al confine tra URSS e Finlandia. Un soldato sovietico consegnò a un corrispettivo finlandese una stecca di sigarette, l’altro ricambiò con un vinile: O’ sole mio di Robertino Loretti. L’uragano? L’amore per l’Italia in URSS e, con effetto a catena, lo spettacolo in scena al FringeMI 2025: Io Amo Italia di Sofija Zobina, autrice e attrice dello spettacolo, con la regia di Gabriele Gerets Albanese.
L’atmosfera del bar Stufanka, in zona Turro, a pochi passi dal Naviglio Martesana, si rivela calzante al tema e allo stile dello spettacolo. In un angolo del locale, incastonato tra poster di Marilyn Monroe o Freddie Mercury, c’è un palco per il karaoke. Trafelata all’arrivo, Sofija vuole cantare una canzone per dimostrare il suo amore per il Bel Paese, dal momento che lei è immigrata dalla Lituania. Il pubblico, forse, si aspettava un brano di un cantautore italiano, ma lei opta per un pezzo sconosciuto ai più: Italia Mia dei Любэ (Lyube), una rock band sovietica, precisando quanto la musica nostrana sia apprezzata nell’ex-URSS. Questo amore viscerale si riversa anche nella visione del Festival di Sanremo, che a partire dagli anni ‘80 ha fatto breccia nei cuori dei sovietici, tanto da essere replicato con versioni locali dai programmi Ciao 2020 e Ciao 2021 curati da Ivan Urgant. Così l’attrice, che sul palco interpreta sé stessa, è in grado di introdurre le tematiche centrali del suo monologo: il ricordo nostalgico dell’URSS e la sua forte ammirazione per l’Italia, visto come il Paese delle opportunità, delle “donne belle”, e del sole. Un legame, quello tra questi due Paesi, che si riassume nella vita di Sofija, la cui mamma, per evitare domande sul padre assente, indicando alla televisione Al Bano, afferma: «Vedi, quello è papà! Peccato che è morto e queste sono registrazioni vecchie».
Durante lo spettacolo, Sofija vede e parla soprattutto attraverso gli occhi e la voce degli altri, esaltando le sue qualità di caratterista e imitatrice, come quando interpreta la propria madre e il suo italiano dal forte accento dell’est, o il compagno della donna e la sua forte cadenza calabrese. Grazie alle ottime capacità recitative, l’attrice crea un legame con il pubblico, ridendo insieme di molte vicissitudini occorse. Con una forte autoironia, Sofija apre uno spiraglio sul monolitico mondo sovietico, mostrandone l’amore e l’ammirazione per l’Italia durante la Guerra Fredda, così come scopre tratti della vita di una ragazza immigrata da quella parte del mondo. Probabilmente, però, il maggior contatto tra lei e il pubblico avviene nei momenti “di intermezzo”, tra un evento e l’altro della sua vita. Come conferma durante la performance, per la scrittura dello spettacolo si è concentrata su quanto la musica sia stata importante nel suo percorso e, infatti, ogni racconto è legato al successivo da un’iconica canzone italiana, del calibro di Felicità di Al Bano e Romina, L’Italiano di Toto Cotugno, o Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri, che riescono a catturare il pubblico fino a farlo cantare e diventare una sola voce con l’attrice.
Superando, però, la patina sbrilluccicante di Sanremo e delle sue canzoni, la voce e il carattere dei “personaggi” interpretati e incontrati da Sofjia riverberano tutti gli ostacoli e i pensieri di un mondo che ancora fatica ad accettare la provenienza da un altrove, sotto i quali si soccombe senza un carattere forte e determinato, come quello della madre. Ciò che emerge in controluce tra le risate, dunque, è la fragilità del viaggio, della vita, di come tutti cerchiamo di condividere una parte di noi con il mondo che ci circonda, ben rappresentato dall’abbraccio dell’attrice con uno sconosciuto del pubblico. Un rapido scambio, veloce come un battito d’ali, come quel giorno degli anni ‘60 al confine che, in fin dei conti, ha dato il via anche a questa storia.

Giacomod Matelloni 


immagine di copertina: foto di Alessandro Villa

IO AMO ITALIA
di Sofija Zobina
regia di Gabriele Gerets Albanese

La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025