«Se abbiamo tutti un ombelico, significa che siamo tutti figli»: con questa frase a effetto si apre Belly Button, spettacolo scritto e interpretato da Agnese Mercati, insieme a Elia Tapognani e Carola Rubino, in scena presso la chiesetta del Parco Trotter durante il FringeMI 2025. La performance si presenta come un’indagine sulle dinamiche di una famiglia disfunzionale, con particolare attenzione alle conseguenze emotive vissute dalla figlia di una coppia, che attraverso la tecnica dell’analessi, ripercorre la storia del proprio nucleo famigliare.
L’elemento più originale della messinscena è la modalità di coinvolgimento degli spettatori attraverso un espediente digitale: prima dell’inizio della rappresentazione, infatti, il pubblico viene inserito in un gruppo WhatsApp denominato “Famiglia”. Da lì, durante lo spettacolo, gli spettatori sono chiamati a partecipare attivamente alla chat attraverso sondaggi a risposta chiusa che dovrebbero, in teoria, influenzare l’andamento della trama. È una scelta registica interessante, ma che mostra qualche limite: se da un lato risulta uno strumento efficace e di notevole ingaggio diretto, dall’altro risulta evidente che lo sviluppo narrativo è in larga parte predefinito, riducendo l’efficacia dell’interazione a un’illusione di scelta.
Il fulcro della narrazione è costituito dal rapporto problematico tra i genitori: gli episodi traumatici dell’infanzia della bambina vengono rievocati con insistenza, costruendo un flusso drammatico emotivamente carico; infatti, anche in momenti di apparente normalità e serenità, la figura paterna riesce sistematicamente a instaurare un clima di tensione, opprimendo le figure femminili che vengono pervase da un senso di impotenza.
Il tema della violenza domestica emerge con forza, intrecciandosi a quello dell’alcolismo, che trova uno dei suoi momenti più intensi in una scena di confronto tra madre e figlia durante un percorso di riabilitazione: in questo episodio, l’assenza del padre, figura centrale nel conflitto, rende ancora più eloquente il silenzio che circonda le responsabilità mai affrontate dall’uomo. Sebbene queste tematiche siano trattate con chiarezza e intenzione, la loro resa scenica appare in alcuni punti prevedibile, faticando nella restituzione di una reale complessità: si intuisce infatti da subito quale sarà l’evoluzione della vicenda, e la mancanza di ambiguità o di spessore psicologico penalizza lo sviluppo di una narrazione così delicata.
Ad ogni modo, il coinvolgimento emotivo raggiunge il suo apice nel finale, quando un membro del pubblico, scelto all’inizio dello spettacolo, viene invitato a salire sul palco per interpretare la figlia. Si tratta di un gesto audace, che intensifica il meccanismo identificativo, pur correndo sul crinale di uno scivolamento retorico. Belly Button si distingue dunque per il coraggio con cui tenta di affrontare questioni cruciali della nostra società contemporanea e di intrecciare teatro e interattività, coniugando i dispositivi digitali con cui quotidianamente ci interfacciamo alla presenza live degli interpreti. È soprattutto grazie alla loro prova attoriale, intensa e misurata, che lo spettacolo riesce a sostenere la tensione emotiva, restituendo al pubblico un’esperienza che colpisce e resta impressa.
Giulia Panichi
immagine di copertina: foto di Alessandro Villa
BELLY BUTTON
con Agnese Mercati, Carola Rubino, Elia Tapognani, Erica Landolfi
regia Agnese Mercati
La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025