Sale di corsa sul palco Marco Ripoldi – per gli amici Ripo – facendo un giro di campo come un atleta pronto a giocare la propria partita. 
Ne Il Fuoriclasse la dimensione dello sport, e più nello specifico del calcio, diventa così fin dall’inizio chiave di lettura dello spettacolo e immaginario a cui il comico attinge per raccontare la propria storia, iniziata nella periferia di Rozzano.
Il padre è un allenatore di calcio venerato da tutti gli amici e così Ripo intuisce da subito che l’unico modo per autoaffermarsi e guadagnare rispetto nella tentacolare “Rozzangeles” è quello di imparare a giocare a pallone.
Lo spettacolo scorre velocemente, Ripoldi ha la capacità di creare con le parole atmosfere precise, ricostruendone i dettagli e trasformando lo spazio di WOW Romolo C30 nei luoghi che ancora visualizza davanti a sé mentre racconta. Con ritmo concitato, ripercorre i primi allenamenti da bambino e al contempo le sue inspiegabili difficoltà a correre dritto, ed è così che rivela al pubblico di come a cinque anni abbia scoperto di essere nato con un nervo acustico perforato. Per chi come lui percepisce la vita in “mono” e non in “stereo”, è più difficile trovare un equilibrio, sia sul terreno che, in senso più lato, nella società. 
La continua ricerca di stabilità nel corso degli anni rende il monologo un chiaro invito a rialzarsi, a non arrendersi, a trovare nei propri difetti un’occasione per riscattarsi: «I miei avversari mi hanno fatto notare i miei limiti, e per questo li ringrazio».
Il rapporto tra vita e calcio diventa sempre più indissolubile e trova il suo emblema nello stadio di San Siro. Luogo quasi mitologico e tempio sacro per gli sportivi, si inserisce nella dicotomia tra città e periferia, descritte metaforicamente come parti di un’anguria: il suo nucleo, Milano, è sicuramente la parte più appetibile, mentre superando la “circonvalla” e avvicinandosi dunque alla buccia esterna, si raggiunge Rozzano, la scorza dura dell’hinterland. Meno frenetica rispetto al centro, rappresenta una realtà stretta da cui Marco sente l’esigenza di allontanarsi ed emanciparsi, per mettersi in cerca della propria dimensione.
Il mondo calcistico rimane una costante nel suo percorso di crescita, raggiungendo il culmine con il derby tenutosi tra Milano 3, squadra in cui gioca, e Rozzano, squadra sempre allenata dal padre. La cronaca della partita diventa così espediente per ripercorrere le tematiche dello spettacolo: il contrasto tra la terra natia e quella acquisita, il confronto tra sé e gli altri, la paura di deludere aspettative e di non essere mai all’altezza.
E ancora una volta è dal mondo del calcio che Ripo trae un grande insegnamento: non si deve mai aver paura di sbagliare e anzi, bisogna concedersi ogni tanto qualche errore.
Essere un fuoriclasse significa anche fare prestazioni eccezionali, sopra la media, e Ripoldi declina tale concetto nel suo approccio alla vita, affrontando uno dopo l’altro gli ostacoli che incontra e spingendosi sempre oltre i propri limiti, fino a superarli e quindi, nel suo caso, segnando il gol della vittoria contro il Rozzano. 
Lo spettacolo è occasione per raccontare e condividere una filosofia di essere e di agire, e il dispositivo scelto da Ripoldi risulta efficace nella sua varietà: momenti di monologo, di dialogo con il pubblico e perfino di esibizione canora rivelano un comico a tutto tondo, capace di sorprendere lo spettatore continuamente.
Il risultato è una stand-up comedy brillante e mai superficiale, in cui momenti più drammatici vengono prontamente esorcizzati con autoironia ma non per questo sminuiti. La resa finale è incisiva e scaturisce inevitabilmente riflessioni sul proprio vissuto, portandoci a rimetterne alcuni elementi in prospettiva. È infatti riformulando la narrativa delle proprie esperienze che Ripo riesce a elaborarle e trovare la forza per ripartire, ricominciare, riprovare ogni volta con un nuovo approccio, perché «chi è nato piangendo, sogna di morire ridendo».

Carola Ambrosioni


immagine di copertina: foto di Davide Aiello

IL FUORICLASSE
di e con Marco Ripoldi

La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025