di Mayo Simon
visto al Teatro Carcano di Milano dal 2 al 13 Maggio 2012

Essere centenari non è un problema, nella società di oggi. Eppure, portare a teatro la vecchiaia, nei suoi aspetti più realistici e quotidiani, appare ancora una sfida, ammette Isa Barzizza, che dopo gli esordi da diva con Macario e i film con Totò, si è data al doppiaggio: «Era da tempo che volevo mettere in scena questa commedia sulla vecchiaia, ma non trovavo nessuna attrice che volesse fare la parte dell’anziana».
La sfida è stata raccolta dal drammaturgo americano Mayo Simon e dal Teatro Carcano, diretto da Marina Bonfigli, con la produzione Guida alla sopravvivenza delle vecchie signore, spettacolo tradizionale ma di qualità che sa offrire divertimento e riflessione allo stesso tempo. In scena, due signore della scena ultraottantenni interpretano due personaggi femminili all’incirca della stessa età: Netty (Marina Bonfigli), indipendente, colta, assertiva, e Shprintzy (la Barzizza), allegra, tenera e svampita.
La commedia, scritta nel 1992 ma ancora attualissima, restituisce un ritratto realistico della terza età attraverso il dipanarsi dell’amicizia fra le due donne, che si incontrano casualmente a una fermata dell’autobus, in una scena che ricorda quella iniziale di Forrest Gump, e da quel momento diventano reciprocamente indispensabili: una non vede quasi più, l’altra sta perdendo progressivamente la memoria. Inizialmente il rapporto non è facile: Netty, volitiva, abituata ai propri spazi e a pensare solo a sé stessa, fatica ad accettare la leggiadria fuori tempo della bionda amica, che parla solo di ballo e uomini.
Con il tempo però il sincero affetto ha il sopravvento e diventano inseparabili, sia per le necessità pratiche, in cui si completano vicendevolmente, sia per il supporto emotivo nei momenti di difficoltà (l’operazione agli occhi di Netty, la perdita della figlia di Shprintzy).
Il decadimento fisico dell’una e mentale dell’altra offre sprazzi di dolceamara comicità, che le due mattatrici, perfettamente calate nei rispettivi personaggi, sanno sfruttare con levità e misura, guidate dalla regia lineare ed efficace di Giuseppe Pambieri.
La scenografia, realistica, ma essenziale, rimanda al paesaggio urbano del Sud degli Stati Uniti, e a uno stilizzato interno medio borghese (una scrivania in stile old-america e un divano sono sufficienti a evocare un’esistenza solida e abitudinaria). Come suggerisce il titolo, la vecchiaia richiede “tecniche di sopravvivenza”, fra cui la prima sfida è quella di cercare di non rimanere soli in un mondo sempre più incerto e competitivo, in cui spesso anche la famiglia è assente, o perché non c’è mai stata o perché non è in grado di fornire assistenza, e i servizi sociali sono inadeguati.
Le due signore devono affrontare da sole le incombenze della quotidianità, in un crescendo di difficoltà, fino a quando Netty, non riuscendo più ad assistere l’amica, la ricovera in un ospizio.
Qui il legame non s’interrompe, tanto che la razionale e riservata Netty ne uscirà cambiata, ammorbidita nelle sue asprezze e finalmente, e proprio alla fine della vita, capace di divertirsi, perché un rapporto umano autentico può cambiare le persone anche a ottant’anni.
La scena finale è onirica e realistica allo stesso tempo: mentre le luci si abbassano su un orizzonte azzurro pallido, Shprintzy, su una sedia a rotelle e ormai persa nelle lande remote cui ti costringe una malattia ancora insondabile come l’Alzheimer, riacquista per un attimo la lucidità grazie al ritmo trascinante del samba. E naturalmente alla tenace presenza di Netty.

Simona Lomolino