Un quadro troppo grande per poter uscire dalla sala del museo; un’architettura troppo rigida per contenere la mutevolezza della vita; una sala teatrale troppo subordinata alle convenzioni della visione per poter contenere il lavoro di FC Bergman, collettivo belga premiato con il Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2023.
Stef Aerts, Joa Agemans, Thomas Verstraeten, Marie Vinck, Bart Hollanders e Matteo Simoni hanno fondato la compagnia nel 2008, guidati dal rifiuto per i rigidi principi con cui si erano formati all’Accademia di Anversa: l’esplosione della fantasia formale e la visionarietà di immagini e spazi si possono considerare quindi una reazione, per opposizione, a quella sobrietà.
Het Land Nod, che ha debuttato nel 2015, non è una di quelle produzioni che si può costringere nelle dimensioni della sala teatrale: in occasione di Biennale è stata riallestita nella zona industriale di Marghera, dove in un capannone è ricostruita, alla scala reale, la Sala Rubens del Museo di Belle Arti di Anversa.
Mentre si attende l’inizio dello spettacolo, già dentro gli spazi dell’hangar ma non ancora seduti “in sala”, l’impalcatura della scatola scenica – alta oltre dieci metri – è visibile dall’esterno in tutta la sua precaria finzione. Sembra la variante contemporanea di un teatro provvisorio delle corti rinascimentali, o un omaggio alle sperimentazioni novecentesche costruite come fuga dalle sale deputate. Impossibile, per esempio, non pensare al Laboratorio di Prato e in particolare a La Torre, che Gae Aulenti aveva realizzato per Ronconi al Fabbricone, nel 1978, come calco di una sala di una reggia del Settecento. «Questa riproduzione fatta tale e quale», raccontava Aulenti in un’intervista a Franco Quadri, «ti trasmette continuamente l’ambiguità dei materiali della sua costruzione, è plastica e non è muro, è pittura e non è affresco, è lacca e non marmo, la sua struttura portante è legno esile invece che muratura, quindi definisce il luogo della finzione, la sua ambiguità».

Proprio intorno alla dialettica tra l’indiscutibile e radicata solidità evocata dallo spazio – il Museo, il quadro di Rubens – e la sua consistenza effimera sembra muoversi Het Land Nod. Il pretesto concreto della pièce è la necessità di spostare dalla sala ormai vuota l’ultimo quadro, troppo grande per passare dalle porte: la cura minuziosa delle prime operazioni del personale del museo, intorno a un quadro illuminato dalla purezza di un fascio di luce che filtra in diagonale dalla porta posta di fronte al pubblico, diviene ben presto ostentazione di una comica goffaggine. Si alternano poi presenze evocative e immaginifiche, che si allontanano progressivamente dal piano della verosimiglianza per sconfinare nel mondo dell’immaginazione: custodi, curatori, visitatori, turisti (tutti interpretati dagli stessi sei fondatori della compagnia) attraversano lo spazio con un’esplosione di creatività e ironia che si moltiplica di continuo. Un uomo resta appeso cadendo dalla scala nel prendere le misure del quadro, una donna sviene come in preda alla sindrome di Stendhal, un visitatore si spoglia, una ragazza corre e cade di continuo sulla panca che circonda la sala, mentre il custode del museo cerca di riportare ordine nel supposto rigore con cui si dovrebbe abitare il tempio dell’arte.
Nell’ironia sottesa alla rigidità dei personaggi e alle loro contraddizioni si può riconoscere l’eco dell’assurdo di Marthaler, nella grazia e nella forza figurativa di alcuni gesti (gli elementi delle stagioni portati in scena in palmo di mano da un uomo in giacca) la forza evocativa di Pina Bausch.
Lo spettacolo si percepisce come il frutto di una profonda condivisione, come se i performer si trovassero in un parco giochi dove tutto è possibile, nella dinamica del dialogo e nell’accumulo di idee: ed ecco che iniziano a crollare pezzi di muro e di tetto, a smontarsi i cornicioni delle porte, a prepararsi esplosioni.

foto: ©Andrea Avezzù

Het Land Nod è, innanzitutto, la celebrazione di un’amicizia, nell’ultimo spettacolo realizzato da tutti e sei i fondatori della compagnia prima che Hollanders e Simoni prendessero percorsi autonomi, valorizzando il senso di essere “gruppo” e comunità anche in senso politico. Il divertimento del pubblico è quello degli artisti, così come il senso di liberazione del momento più commovente dello spettacolo, quando i performer si uniscono in una corsa travolgente che è un esplicito omaggio a Bande à part: come nell’iconica scena di Godard nelle sale del Louvre, la corsa sovverte il rigore museale in un rifiuto delle convenzioni che invoca la libertà nello spazio deputato dell’arte.
Gli asciugamani che riempiono la sala in un patchwork di stracci colorati, la tenda come unico riparo in contrasto con un turista che prende il sole, sono invece la deriva visionaria della seconda parte del lavoro, che sembra fare da contrappunto allo sgretolarsi del museo, al crollo del tetto della sala come elemento drammatico e simbolico, varcando il perimetro della “scatola” performativa per coinvolgere il mondo intero.
Mentre negli spazi dell’Arsenale la Biennale ospita The Laboratory of the Future, la mostra di Lasley Lokko che sostituisce ai progettisti i “pratictioners”, termine ibrido che include i veri portatori del cambiamento lontano dai riflettori dello star system, lo spettacolo di FC Bergman sembra poter offrire una possibile declinazione anche per i temi della sezione architettura della Biennale 2023. Entrambi mettono al centro lo stesso strumento principe: l’immaginazione come critica alle convenzioni e alle disuguaglianze del nostro sistema e come spazio per esplorare una rinnovata possibile forma di libertà.

Francesca Serrazanetti


foto di copertina: ©Andrea Avezzù

HET LAND NOD

di FC Bergman: Stef Aerts, Joé Agemans, Bart Hollanders, Matteo Simoni, Thomas Verstraeten, Marie Vinck
con Stef Aerts, Joé Agemans, Geert Goossens, Bart Hollanders, Thomas Verstraeten, Marie Vinck, Matteo Simoni
sound design Diederik De Cock, in collaborazione con FC Bergman
disegno luci Ken Hioco, in collaborazione con FC Bergman
organizzazione Celine van der Poel
direzione tecnica Diederik Hoppenbrouwers / Tom van Aken
luci Diederik Suykens
scenografi Dominick Geentjens, Friedemann Koch, Ward Vandenbossche
suono Steven Bontinck
sarta di scena Monique van Hassel
realizzazione costumi Monique van Hassel, Erna van Goethem, Christiane De Feyter
realizzazione scene Jan Palinckx, Patrick Jacobs, Karl Sneider, Bram Rombouts, Sam Verdonck, Marjan Verachtert, Jolien Degrave, Gaby Martins Mateus, Menno Vandevelde, Frederik Liekens
oggetti di scena Maarten Wagemans, Celine van der Poel
Produzione Toneelhuis
con il supporto di PHLIPPO Productions, AGFA Graphics, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Antwerpen (KMSKA)
visto alla Biennale Teatro di Venezia