#POSTCARDFROMPEOPLE
Federica è una delle giovani allieve che ha preso parte al progetto coreografico di Dance Makers. Quando la fermo per farle qualche domanda mi risponde entusiasta. In queste ultime due settimane i danzatori hanno passato le giornate nelle sale dell’Accademia di Brera a provare e riprovare i passi. Portare in scena lo spettacolo è stato un atto liberatorio, in senso positivo ovviamente. La fase di creazione è stata impegnativa ma il risultato è talmente bello per lei e per il pubblico, che ne è totalmente appagata. Le chiedo se secondo lei il luogo abbia influito positivamente sull’esito dello spettacolo: «Palazzo Brera, così imponente e silenzioso, in una giornata grigia come oggi, è stato il palco ideale per queste coreografie». Quando le domando a chi consiglierebbe di assistere a questo spettacolo Federica sorride, ma non ha bisogno di tempo per pensarci: a tutti, nessuno escluso. #cestpao
Pia e Gemma, orgogliosamente over, si sono divertite moltissimo durante il percorso in Accademia. Tanto che rimproverano simpaticamente gli organizzatori: “Nel corridoio dei gessi storici c’era troppo buio! Eravamo così concentrate sulle apparizioni luminose che abbiamo rischiato di inciampare!”. Durante l’intervista sono loro a fare a noi la prima domanda: “Si rifarà? Avremmo tanta voglia di partecipare ancora.”
Gemma intravede un fil rouge che connette tutti gli sketch dei danzatori: “Nel primo ballo ho colto una bella coreografia di risveglio della natura: fiori che sbocciano e si ritirano; poi la danza della primordialità, con le scimmie, i primi uomini. Uomini che poi diventano ciechi: quando è stata illuminata la statua acefala di donna, ho pensato al femminicidio.”
Pia rimarca l’importanza politica di una rappresentazione con performer così giovani: “Voi ragazzi siete i soli che al giorno d’oggi possono veramente creare comunità. Noi anziani abbiamo tanto da imparare da voi: queste occasioni ci danno la possibilità di rimanere tutti connessi.” #Brux
“Senza parlare cercate di formare una fila, qui nel corridoio”: ogni spettatore sente la richiesta sussurrata attraverso le cuffie e si guarda intorno per individuare il resto del pubblico. Non è facile riconoscersi in mezzo ai visitatori dell’Accademia di Brera che, ignari o incuriositi, diventano anch’essi a loro modo spettatori dello spettacolo dei danzatori ma anche delle azioni compiute dal pubblico con le cuffie. Entrando e uscendo dagli spazi e dalle sale dell’Accademia di Brera, il confine invisibile tra spettatorialità e performance viene costantemente attraversato, abbattuto e di nuovo ricostruito. #skeeter
#POSTCARDFROMCITY
Certi spazi, per quanto armoniosi e piacevoli alla vista, sembrano essere condannati al ruolo di luoghi di passaggio, di collegamento tra strutture, così capita che, chi si trovi ad attraversarli, probabilmente lo farà concentrato sui propri pensieri impassibile all’ambiente circostante. Dance Makers dà dignità a uno di questi luoghi invisibili: un corridoio che conduce alle aule dell’Accademia di Brera. Il pubblico è guidato da una voce nelle cuffie che suggerisce come muoversi, su cosa soffermare lo sguardo, finché non giunge il momento di avanzare ad occhi chiusi e percepire lo spazio con i sensi che siamo meno abituati a usare. Ecco che si notano scritte sulle porte di chissà quanti anni prima, un angolino buio con qualche schizzo di vernice sul pavimento, fili elettrici dimenticati che fanno capolino, un fascio di luce bianca che penetra forse da una finestrella nascosta in alto, la polvere fredda sul pavimento. Vengono a galla piccoli frammenti di una lunga storia di quotidianità, che, se a freddo può apparire banale, permette invece di comprendere come possano nascere legami emotivi anche con spazi apparentemente anonimi. #Yukio
L’Accademia delle Belle Arti di Brera è un immenso labirinto in cui è senz’altro sempre piacevole perdersi: ogni angolo ha la sua affascinante storia da raccontare. Ma chi, vagando per i corridoi e le scale dell’edificio, non si è mai imbattuto in un’invalicabile porta chiusa, che cela al pubblico una stanza misteriosa? Dance Makers offre la possibilità di intrufolarsi nei sotterranei dell’Accademia, rigorosamente al buio. I danzatori si muovono nell’oscurità attorno agli spettatori, di tanto in tanto proiettando il fascio luminoso di una torcia su pareti e statue di gesso, in modo da consentire di cogliere a tratti con lo sguardo i volumi e le superfici circostanti. Il braccio rotto di una Venere, un graffito sulla coscia di un vecchio, gli occhi vuoti di un volto enorme, cavi elettrici che fanno capolino da un tubo sporgente dal muro. Ciò che viene messo in risalto è una serie di cicatrici di un passato chiuso in cantina: forse la fine della “carriera” di un modello di gesso, inavvertitamente rotto durante il trasporto, forse i segni di una manifestazione studentesca. #Yukio⠀⠀⠀⠀⠀⠀
Brera. Palazzo dell’Accademia e della Pinacoteca. Una performer scende lentamente le scale affrontando i gradini con dedizione, come fossero indovinelli da risolvere. La compiutezza di ogni gesto imprime per un istante la sua sagoma nera sullo sfondo di marmo chiaro dello scalone di ingresso. È dichiarato, ormai: questo spettacolo è un omaggio all’architettura del luogo che lo ospita e nel quale è stato pensato e realizzato, come progetto site-specific, nel tempo di una sola settimana. Mentre la performer termina il suo viaggio in discesa dalla cima delle scale noi, stipati nello sbarco della prima rampa, perdiamo il normale sistema di riferimento: dalle cuffie che ci è stato chiesto di indossare arriva una musica che copre il rumore della folla la quale, come di consueto nel weekend, invade gli spazi del palazzo. La nota surreale del momento si sposa con le contingenze atmosferiche: è un uggioso sabato di novembre. #prisca.puntini
#POSTCARDFROMSTAGE
Si notano le cuffie ammassate su un tavolo, una per ogni spettatore. Poi ci si accorge che nella sala mancano un palco e gli attori. Una donna ci invita a seguirla: la danza di professionisti e giovani allievi ha invaso gli spazi di Brera. È possibile dare musica al silenzio, senza interromperlo? Si può ridare movimento ad una statua, senza che si danneggi? La risposta di Dance Makers prende vita davanti ai nostri occhi, con delicatezza, senza imporsi sullo spettatore. Saliamo le scale, troviamo una danzatrice che segue il ritmo del silenzio e riporta alla lentezza il movimento frenetico che la città ci impone. Osserviamo come lo spazio cambi all’arrivo dei danzatori e riprenda colore e movimento. L’orizzonte dello spettatore si amplia, dalla balconata di palazzo Brera possiamo osservare le coreografie di chi danza e i movimenti di comuni cittadini, che, inconsapevoli, si sono trovati ad essere parte della scena. Siamo spettatori di spettatori, con un gioco sottile che scardina i punti di riferimento del pubblico. Percorriamo depositi bui in cui piccole torce illuminano statue, incontriamo una donna che danza al suono di passi e fruscii. Il rapporto nuovo con il luogo e con i suoni tocca anche il pubblico e lo disorienta: gli spettatori sono chiamati a camminare a occhi chiusi, percorrere uno spazio, toccare superfici e tastare corpi, guidati solo da una voce. Forse questa volta, vedendo l’ultima scena, possiamo apprezzare la possibilità di creare qualcosa andando oltre le prospettive già note, possiamo cogliere la poesia del movimento, la vitalità della musica, la spinta propulsiva della luce. Finisce lo spettacolo e togliamo le cuffie: perdiamo il suono ma rimane lo spaesamento, che è condizione necessaria per accettare che gli spazi abbiano nuovi limiti, che la città possa essere sede di nuovi e possibili scenari. #cestpao
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Si notano le cuffie ammassate su un tavolo, una per ogni spettatore. Poi ci si accorge che nella sala mancano un palco e gli attori. Una donna ci invita a seguirla: la danza di professionisti e giovani allievi ha invaso gli spazi di Brera. È possibile dare musica al silenzio, senza interromperlo? Si può ridare movimento ad una statua, senza che si danneggi? La risposta di Dance Makers prende vita davanti ai nostri occhi, con delicatezza, senza imporsi sullo spettatore. Saliamo le scale, troviamo una danzatrice che segue il ritmo del silenzio e riporta alla lentezza il movimento frenetico che la città ci impone. Osserviamo come lo spazio cambi all’arrivo dei danzatori e riprenda colore e movimento. L’orizzonte dello spettatore si amplia, dalla balconata di palazzo Brera possiamo osservare le coreografie di chi danza e i movimenti di comuni cittadini, che, inconsapevoli, si sono trovati ad essere parte della scena. Siamo spettatori di spettatori, con un gioco sottile che scardina i punti di riferimento del pubblico. Percorriamo depositi bui in cui piccole torce illuminano statue, incontriamo una donna che danza al suono di passi e fruscii. Il rapporto nuovo con il luogo e con i suoni tocca anche il pubblico e lo disorienta: gli spettatori sono chiamati a camminare a occhi chiusi, percorrere uno spazio, toccare superfici e tastare corpi, guidati solo da una voce. Forse questa volta, vedendo l’ultima scena, possiamo apprezzare la possibilità di creare qualcosa andando oltre le prospettive già note, possiamo cogliere la poesia del movimento, la vitalità della musica, la spinta propulsiva della luce. Finisce lo spettacolo e togliamo le cuffie: perdiamo il suono ma rimane lo spaesamento, che è condizione necessaria per accettare che gli spazi abbiano nuovi limiti, che la città possa essere sede di nuovi e possibili scenari. #cestpao
Si notano le cuffie ammassate su un tavolo, una per ogni spettatore. Poi ci si accorge che nella sala mancano un palco e gli attori. Una donna ci invita a seguirla: la danza di professionisti e giovani allievi ha invaso gli spazi di Brera. È possibile dare musica al silenzio, senza interromperlo? Si può ridare movimento ad una statua, senza che si danneggi? La risposta di Dance Makers prende vita davanti ai nostri occhi, con delicatezza, senza imporsi sullo spettatore. Saliamo le scale, troviamo una danzatrice che segue il ritmo del silenzio e riporta alla lentezza il movimento frenetico che la città ci impone. Osserviamo come lo spazio cambi all’arrivo dei danzatori e riprenda colore e movimento. L’orizzonte dello spettatore si amplia, dalla balconata di palazzo Brera possiamo osservare le coreografie di chi danza e i movimenti di comuni cittadini, che, inconsapevoli, si sono trovati ad essere parte della scena. Siamo spettatori di spettatori, con un gioco sottile che scardina i punti di riferimento del pubblico. Percorriamo depositi bui in cui piccole torce illuminano statue, incontriamo una donna che danza al suono di passi e fruscii. Il rapporto nuovo con il luogo e con i suoni tocca anche il pubblico e lo disorienta: gli spettatori sono chiamati a camminare a occhi chiusi, percorrere uno spazio, toccare superfici e tastare corpi, guidati solo da una voce. Forse questa volta, vedendo l’ultima scena, possiamo apprezzare la possibilità di creare qualcosa andando oltre le prospettive già note, possiamo cogliere la poesia del movimento, la vitalità della musica, la spinta propulsiva della luce. Finisce lo spettacolo e togliamo le cuffie: perdiamo il suono ma rimane lo spaesamento, che è condizione necessaria per accettare che gli spazi abbiano nuovi limiti, che la città possa essere sede di nuovi e possibili scenari. #cestpao
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