Di Samuel Beckett
Regia, scena e ideazioni luci di Robert Wilson
visto al Teatro dell’Arte di Milano _ 20 ottobre 2013
La serata inaugurale della stagione della nuova fondazione CRT Milano è stata affidata a uno dei più riconosciuti maestri dell’avanguardia teatrale, Robert Wilson. Il linguagio peculiare della sua ricerca performativa è stato infatti scelto come simbolo dell’ambizioso progetto di crossover tra nuove tecnologie digitali, arti dal vivo, arti visive e applicate che il CRT Milano ha intrapreso insieme alla Triennale per dare vita a una programmazione sui generis presso il Teatro dell’Arte, destinato a diventare un rinato teatro stabile d’innovazione. Ecco perché al classico cartellone è stato preferito uno sguardo vivo sulla contemporaneità, capace di captare quello che accade nel panorama performativo italiano e internazionale.
Dal vecchio Salone di via Dini che ospitò A Letter for Queen Victoria ai nuovi spazi restaurati della Triennale il regista texano ha dato ancora una volta prova del suo talento. Proprio in occasione di A Letter for Queen Victoria Beckett si complimentò con Wilson per il testo frammentato e non sequenziale, lui che fu elogiato da Ionesco per essere andato più lontano di Beckett. Dopo molti anni Robert Wilson ha deciso di confrontarsi direttamente con un suo testo, L’ultimo nastro di Krapp. Sua la regia, suo l’allestimento, sua l’interpretazione in scena.
Un tuono assordante apre inaspettatamente lo spettacolo e lo scroscio della pioggia accompagna fastidioso per venti lunghi minuti la solitudine e il silenzio di Krapp. L’impianto scenico e il disegno luci sono di grande impatto visivo: un’installazione artistica di per sé di particolare bellezza. Raggi di luce bianca piovono sul palco, irregolari e incessanti, dando movimento al perimetro immobile dell’enorme scaffale-archivio alle spalle di Krapp, alla sua vecchia scrivania e ai due lunghi tavoli che, in penombra, ospitano da sempre pile e pile di documenti. Le finestre si illuminano seguendo il ritmo improvviso delle saette.
Difficile per il pubblico, in questa prima parte dello spettacolo, distogliere lo sguardo dai movimenti di Krapp-Wilson, nonostante la loro lenta ripetizione o gli improvvisi scatti. Gesti stilizzati, condensati o dilatati nel tempo. Quello che li unisce è un’esatta pulizia formale. Con il viso ricoperto di biacca e le calze rosse ai piedi, l’effigie-clown di Beckett – espressionista e ieratica – incontra il teatro Nô. La parola è qui assolutamente assente.
Difficile invece nella seconda parte dello spettacolo, almeno per il pubblico seduto nel settore sinistro del teatro e non anglofono, seguire la proiezione dei sopratitoli senza distogliere troppo lo sguardo dal palcoscenico. La rumorosa pioggia si interrompe, lo scaffale-archivio esce dalla penombra diventando con la sua geometria una presenza quasi opprimente e Wilson con maestria dà vita con un magnetofono ai frammenti reiterati di Beckett. Frammenti del flusso di coscienza di Krapp ormai settantenne e frammenti di una vecchia bobina, registrata esattamente trent’anni prima. Sempre il giorno del suo compleanno. Riascoltandosi continuamente, riavvolgendo il nastro più volte per riascoltare gli stessi passaggi in cui con voce fiduciosa ed esuberante celebrava le sue ambizioni, il vecchio Krapp con amarezza e ironia fa il verso al giovane Krapp. Ride dei suoi sogni passati e della felicità a cui ha rinunciato. E Wilson con un’ampia modulazione di voce accentua questo contrasto, mentre effetti sonori improvvisi sanciscono i drammi interiori e taciuti di Krapp.
“Quando dirigo uno spettacolo creo una struttura nel tempo. Solo nel momento in cui tutti gli elementi visivi sono al loro posto viene creata una cornice che gli attori devono riempire. Se la struttura è solida, allora si può essere liberi al suo interno”. Wilson, saltando e barcollando, immobile e ieratico, ricorrendo a una mimica fatta di smorfie e gesti stilizzati, sembra aver trovato il modo per muoversi liberamente nella struttura beckettiana de L’ultimo nastro di Krapp. Con un esercizio di stile e potenza, come qualcuno giustamente ha detto, la nuova incisione è conclusa.
Valentina Sorte