La voce di Simona Bucci risuona chiara nelle sale di DanceHaus in occasione della sua masterclass. E benché sia la coreografa stessa a definirsi con spiccata autoironia “un filo logorroica”, la verità è che le sue parole stimolano l’ascolto e, con il loro flusso continuo, ci trasportano naturalmente verso la “fase” del movimento. Il tempo della lezione sarà piuttosto concentrato: solo un paio d’ore per riuscire a  trasmettere la propria esperienza agli allievi danzatori. Simona mette allora le cose in chiaro fin da subito: il suo intento non è quello di far loro riprodurre un codice ma un invito a seguire una sensazione. A tal proposito la coreografa ricorda le parole del suo maestro Alwin Nikolais, quando sosteneva che è l’intenzione a creare la forma. «Il corpo si organizza intorno alla propria intelligenza» diceva il coreografo statunitense: non esiste dunque una maniera bensì la maniera che di volta in volta si sceglie di sostenere nel raccontare qualcosa. Per Bucci è necessario innanzitutto un percorso di preparazione del corpo che lo renda fluido e consapevole della materia in cui è immerso. I primi movimenti si svolgono allora a terra: i corpi degli allievi si muovono con calma sul pavimento a creare una dimensione placida e continua. Poi, incalzati dalle puntuali indicazioni dell’insegnante, l’orizzontalità si trasforma, con un divenire impercepibile, in verticalità. L’impressione, per noi che assistiamo, è quella di un risveglio al mattino che diventa man mano più fluido e corale. Bucci fa esplorare lo spazio circostante, chiedendo che il tutto avvenga con energie differenti, sfruttando la gravità e il peso. A differenza della danza classica che tende all’elevazione, la danza contemporanea sfrutta la gravità, spiega la coreografa, ed è su questo che bisogna lavorare. Ma non finisce qui. Bucci invita ciascun danzatore ad associare un vocalizzo a ogni gesto compiuto, indicazione che porta una cascata di onomatopee sulla scena. Ma prima che la coreografia sia pronta per la messinscena manca ancora un passaggio: il ritorno al silenzio. Ora ogni danzatore mostra il suo fluido “divenire nello spazio”: la parola, quella della coreografa e dei suoi allievi, si è finalmente trasformata in movimento.

Caterina Piotti e Livia Torchio


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