In questa ultima parte del 2020 che ha il gusto di una promessa di rinascita e di riavvio culturale – come ben testimonia lo stesso MilanOltre – si possono inserire le riflessioni del terzo appuntamento di Miol Digital, la serie di conferenze in live streaming del Festival. “Appunti sul viaggio dell’anima” si rivela, fin dal titolo, un articolato ragionare sui processi delle nostre vite che intende approfondire in particolare i concetti di “reincarnazione” e “anima” nella danza. La discussione prende spunto dal confronto con la cultura orientale, mediata dallo spettacolo Oath- Midnight Rain della Beijing Modern Dance Company – compagnia che se non fosse stato per l’emergenza Covid, avremmo potuto apprezzare anche quest’anno sul palco dell’Elfo Puccini – e della sua direttrice e coreografa Gao Yanjinzi, di cui vengono condivisi alcuni attimi in video. La potente simbologia di questo lavoro che gioca tra il limite delle tenebre e la promessa di una nuova luce, è rinforzata dai colori accesi dei costumi dei danzatori e dalla musica tradizionale cinese, elementi chiamati a creare forti allusioni alla morte e alla reincarnazione. Gao Yanjinzi mostra come lo spettacolo sia nato da una riflessione personale e, col tempo, sia diventato un processo meditativo attraverso cui indagare l’esistenza. Per mettere in luce l’idea che la vita sia un continuo ciclo di rinascita e di passaggio, nella coreografia si animano personaggi naturali e, allo stesso tempo, onirici: il fiore, il pesce, l’erba, diventano simboli per offrire un nuovo punto di vista sulla vita e sulla fine, ponendo in correlazione ogni forma vivente.
Guidalberto Bormolini, monaco e tanatologo, si inserisce nella conversazione ricordando come la ritualità, nella sua forma più arcaica e istintuale, inscritta in secoli di umanità, servisse per propiziare serenità al defunto e soprattutto educasse i viventi a una visione più completa della vita; in Occidente, tuttavia, la attuale civiltà contemporanea si basa invece sull’occultamento della morte, avvolgendo la propria esistenza in una mondanità superficiale. Lo “spazio rituale e sacrale” però non è totalmente andato perduto: può essere riconquistato e indagato attraverso il canto e la danza, come mezzi per sondare il mistero. Una prassi del resto da sempre nota nel bacino del Mediterraneo fino alla via della Seta: è lo stesso Rino de Pace, direttore artistico di MilanOltre a osservare: «Ho visto spesso alcuni danzatori di origine orientale e medio orientale che durante la performance sembrano regalare al cielo i loro virtuosismi più belli attraverso un gesto fisico o uno sguardo. Come se la bellezza non potesse essere generata da un corpo, ma anche da qualcosa d’altro che lo anima e lo fa muovere.» Quasi un invito a un ripensamento sulla connessione tra l’io e il corpo, un appello ineludibile, in un periodo dove sono le contingenze storiche a costringerci a riformulare le modalità di connessione e vicinanza con gli altri.

Martina Abati


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