Su uno sfondo scuro due sagome brillanti si muovono come in un dipinto animato. Nella luce fioca, quasi a lume di candela, se ne scorgono solo i contorni, ma è abbastanza per capire che ogni gesto è all’unisono, perfino il respiro. E se – di rado – capita che il movimento non sia perfettamente sincrono, ciò non vale mai per l’aria che entra ed esce dalle loro bocche, è proprio il respiro che consente ai danzatori di ritrovarsi ogni volta che si stanno per perdere. Fratelli inseparabili, i due sono Caino e Abele, ma la storia è diversa da quella che tutti noi conosciamo: quella che accade sul Concerto n.2 per pianoforte di Brahms, è un’ucronia biblica, dove nessun fratricidio è stato commesso.  «Noi siamo il futuro», «Noi siamo il destino, il tuono, il passato, il bianco, il mare», sussurrano strisciando sul suolo i danzatori, per poi aumentare di volume. «Noi siamo i cattivi, voi siete i buoni, noi siamo i buoni, voi siete i cattivi».

Con dei brevi versi in cui “noi” e “voi” vengono ripetutamente invertiti, i due tracciano i segni di un futuro possibile, a passo di danza. Coinvolgono “voi”, l’umanità, la chiamano in causa, lanciano una domanda implicita e provocatoria: cosa succederebbe se ci dessimo il permesso di immaginare un mondo diverso, se non presumessimo che l’umanità sia segnata da un destino di violenza, se non dessimo per scontato il primo delitto? La risposta non viene fornita a parole, ma si fa corpo, grazie alla sintonia di due individui che da diversi ne diventano un unico, inseguendosi, muovendosi assieme come il palpito di un cuore, di un paio d’ali, dello stesso organismo. Circondati da un quadrato di piume, eccoli mimare forme animalesche e vegetali, di volatili, forse fenicotteri, o cigni; poi rane, poi rami intrecciati, esplorando varie forme di vita, attraversandole. I movimenti da sinuosi si sono ormai trasformati in schietti e intensi, quando i due iniziano a ballare a passo di tango, con gli occhi negli occhi, nelle loro tute mimetiche. Queste ultime però differiscono dal solito. Ricche di colori, quasi a significare – o risignificare – il concetto e l’uso dello strumento stesso: non più arnese di guerra, ma mimesi della natura in quanto fusione di vari elementi in un sistema più complesso. Un’armonia delle parti che più di un’ipotesi, diventa possibilità e, forse, speranza.

Giorgia Angioletti

 (ph: Serena Nicoletti)


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