di e con Giuliana Musso
visto al Teatro Elfo Puccini di Milano _ 13-18 gennaio 2015
Cosa pensa una donna nei minuti che precedono il parto? Quanta la lucidità per rendersi conto di quello che sta accadendo? Quando si accendono le luci su “Nati in casa”, lo spettacolo cult che Giuliana Musso porta in tutta Italia da quattordici anni, in scena c’è una donna con la pancia che, senza mettere filtro ai propri pensieri, travolge gli spettatori nell’iperisteria della corsa in ospedale, delle contrazioni, del dolore e di tutti i risvolti più tragicamente comici (e taciuti) degli attimi che precedono la nascita.
Ma lo spettacolo parte da molto prima. La “comare”, ovvero la levatrice, è quella figura ormai scomparsa di donna che per lavoro faceva nascere i bambini senza bisogno di medici e ospedali. Maria è una di queste donne, che corre in bicicletta di casa in casa con la sua borsa “degli attrezzi” e assiste con dedizione il travaglio.
Giuliana Musso accompagna il pubblico nel Friuli di qualche decennio fa, nella povertà delle case dove si accendeva un piccolo fuoco almeno per scaldarsi le mani, dove le emergenze andavano fronteggiate con l’inventiva e gli uomini, con le loro preoccupazioni, messi a tacere.
La Musso è bravissima a creare con le parole e pochi misurati movimenti gli ambienti frugali della sua narrazione: la stanza con il letto, la strada fredda, il tavolo della cucina. Passa dal registro comico a quello drammatico con estrema agilità, strizzando l’occhio al pubblico e facendosi interprete dei suoi pensieri. Il travaglio di Rosa, assistito oltre che dalla comare dalla sorella Rosetta, è il filo narrativo intorno al quale si aprono racconti di altre levatrici e altre partorienti, di lunghe attese e tragedie scampate, di storie di paese e saperi acquisiti con l’esperienza, oggi per lo più dispersi.
Ma “Nati in casa” non si ferma a una narrazione intensa e sfaccettata di donne e vicende legate al parto di un tempo. Si spinge fino ai giorni nostri, facendo emergere per opposizione l’iper-tecnologizzazione del parto negli ospedali. Se nel prologo la Musso mette in campo energia e ironia per raccontare l’isteria di un parto di oggi, l’epilogo ha un intento anche dichiaratamente informativo. Il travaglio di Rosa è arrivato al termine e la parola passa a Rosetta: da levatrice “in casa” oggi lavora negli ospedali ed è tramite i suoi racconti che si è costruita buona parte della drammaturgia dello spettacolo. Il livello della narrazione passa a una frettolosa riflessione su cosa sia cambiato: non esiste più l’attenzione e la sensibilità di un tempo, mentre farmaci e tecnologia rischiano di inibire il momento del parto. I dubbi e le domande passano tramite Rosetta, ma alcune questioni controverse, come l’uso dell’epidurale andrebbero affrontate con maggiore profondità. Resta un affresco vivido e nostalgico, tracciato con energia e grande capacità attoriale, di una dimensione domestica oggi perduta.
Francesca Serrazanetti