Tutti conoscono la storia di Teseo e il Minotauro, l’eroe e il mostro, protagonisti di un mito senza tempo. Carlo Maria Vella – vincitore del bando “In principio era il Segno” promosso dal Festival del Silenzio nel 2018 – ne propone un adattamento a partire dall’opera Minotauros. Eine ballade di Friedrich Dürrenmatt. Con un evidente stravolgimento interno: non esiste Teseo, non è lui il valoroso uomo che si lancia in un’impresa eroica, è il Minotauro a essere il protagonista indiscusso della scena. È lo stesso Dürrenmatt a chiarire la centralità monolitica del protagonista taurino: “Avvertì che non esistevano tanti minotauri, ma un minotauro solo, che esisteva un solo essere quale egli era, non un altro prima né un altro dopo di lui, che egli era l’unico, l’escluso e rinchiuso insieme, che il labirinto c’era per causa sua, e questo solo perché era stato messo al mondo”.

Sul palco della Fabbrica del Vapore ci sono però cinque donne mentre la testa del “mostro” rimane su un piedistallo: una maschera, un travestimento. Ma quando una delle attrici si avvicina e la indossa, accade la trasformazione: il Minotauro prende vita, così come il Labirinto creato per isolarlo e contenerlo. Sono le quattro interpreti che rimangono a comporlo e a popolarlo: compagne perenni del Minotauro, le donne intrattengono con la bestia un rapporto teso, muovendosi nello spazio con fare angosciante e a tratti cattivo, utilizzando il corpo, la danza, i gesti e le espressioni del viso per interagire.

Così per lo spettatore il primo impatto è duro e opprimente: il Minotauro è emarginato, evitato, sbeffeggiato e privo di voce. Non c’è infatti possibilità di comunicare attraverso le parole. È una scelta che non figura solo come stratagemma narrativo ma risulta essere una vera e propria decisione creativa presa dalle attrici stesse. La domanda sottesa a questa scelta esplode evidente: com’è possibile, in una situazione del genere, ostile e complicatissima, dove l’incertezza identitaria del protagonista si somma con la consapevolezza di un destino fatto di una solitudine immortale, a trovare un punto di contatto con il mondo esterno?

L’atmosfera lugubre e misteriosa rende palpabile il dramma dell’isolamento e dell’incomunicabilità a cui il protagonista è condannato. Si compie a tutti gli effetti l’intento del Festival del Silenzio – tra le cui finalità ha quella di sensibilizzare il pubblico alla LIS (Lingua dei Segni Italiana): intrattenere e insieme comunicare a un pubblico eterogeneo, anche per fasce d’età, la vita di chi è trattato da estraneo, diverso e, il più delle volte, sbagliato. Ne deriva la dimostrazione certa che in fondo la comunicazione verbale non è l’unico mezzo per creare rapporti, per conoscersi, per scoprire se stessi e il mondo, per  raccontare una storia.

A un tratto, dal pavimento, viene alzato uno specchio. Per la prima volta il Minotauro si osserva: vede il suo muso, la sua criniera, impara a conoscere il suo corpo. È come se una prima barriera venisse distrutta, permettendo al Minotauro di riconoscersi e tentare di imporsi nel mondo. La suggestività dei corpi danzanti e della luce bianca che spezza il nero della scena, rendono più forte l’angoscia e la portata di ciò che il protagonista sta vivendo, mettendo in  luce il processo di umanizzazione che si sta compiendo in lui. Ma il vero punto di svolta nella vicenda del Minotauro, si sa, è l’incontro con Arianna, accompagnata dall’immancabile filo. La principessa di Creta si pone davanti al Minotauro con fare curioso e genuino, creando una sorta di “gioco” che permette ad entrambi di scoprirsi e avvicinarsi. Così il Minotauro sembra finalmente alzare il muso fiero, consapevole di non essere “unico ed escluso” in un mondo che non lo vuole, ma di avere anche egli la possibilità di entrare in rapporto con qualcuno. La complicità che nasce tra l’uomo dalla testa di toro  e Arianna fa tirare un respiro di sollievo: è la prova evidente che ciascuno di noi ha modo di farsi scoprire dagli altri.

È così che, sul finire, il Minotauro si toglie la maschera e, insieme alle sue compagne, inizia ad accarezzarla: un moto di tenerezza che sancisce la fine di ogni frizione, un momento distensivo accompagnato dall’unico monologo parlato, quello (registrato) di Carlo Maria Vella. L’invito è quello di imparare a guardare il mondo senza pregiudizi e preconcetti, a essere creativi, a conoscere gli altri per quello che sono, avere la possibilità di amare e di essere amati, di percepire e di comunicare, senza esclusione. In fondo basta solo trovare il giusto mezzo per esprimersi.

Angela Bonadimani


Nel segno del Minotauro

Tratto da Minotaurus. Eine Ballade di Friedrich Dürrenmat
Regia e adattamento Carlo M. Vella
Con Luana Bigioni, Maria Caggianelli, Laura Fabbiani, Marta Gavazzi, Simona Ornaghi
Assistente di scena Veronica Galluzzi
Coreografe e movimenti scenici Luana Bigioni
Maschere Marco Bonadei
Mediatrice linguistica LIS Paola Zannini
Luci Matteo Giacotto
Scenografa T12-Lab
Suono Carlo M. Vella