Gli androidi sognano pecore elettriche? si chiedeva Philip K. Dick nel suo romanzo del 1966 (poi diventato la famosa pellicola Blade Runner); due anni dopo Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio inventava mondi in cui HAL 9000, un computer, gestiva un’astronave diretta verso Giove. Nel 1999 usciva Matrix delle sorelle Wachowski, dove un hacker doveva liberare l’umanità dall’intelligenza artificiale e, nello stesso anno Futurama dava voce a Bender, un robot a volte troppo umano; nel 2013 Spike Jonze in Her rendeva vivo e sentimentale un sistema operativo.
Solo alcuni esempi per mostrare quanto la riflessione sull’intelligenza artificiale, oggi al centro di discussioni e dibattiti, fosse stata anticipata per tempo da film e serie, libri e arte figurativa. Ma ora le distopie fantascientifiche cambiano di segno: l’IA non è più soltanto oggetto di narrazione, ma strumento per la creazione stessa, autrice di prodotti culturali di cui noi siamo fruitori.

È in questa nuova tendenza che si inserisce Una isla, nuovo spettacolo degli Agrupación Señor Serrano, in scena al Festival delle Colline Torinesi (Teatro Astra, 21 e 22 ottobre 2023). Il tema della ventottesima edizione, dedicata ai confini e agli sconfinamenti, si adatta perfettamente all’indagine della compagnia catalana sui confini tra intelletto umano e artificiale. La scena si presenta vuota e, appena il buio avvolge la sala, sulla parete di fondo viene proiettata una conversazione tra due dialoganti: le domande in bianco corrispondono a un interlocutore umano — composto dalla pluralità degli Agrupación — mentre le risposte, in giallo, sono prodotte in diretta da un’intelligenza artificiale. Il copione sembra generarsi estemporaneamente in scena, ma in realtà (così ci rivelano le note di sala) è frutto di due anni di studio e scrittura drammaturgica. Nel carteggio torna martellante la domanda: «Chi sei?», ma la replica dell’IA è ogni volta differente: «Sono una manciata di parole in un universo di silenzio», «sono un gufo giallo», «sono l’altro ma tutti siamo l’altro per qualcuno». Il Conversatore Giallo può generare un’infinità di risposte finché non appare quella che più piace o conviene al Conversatore Bianco; e così, proprio nell’illimitata apertura al possibile, si manifesta l’impossibilità di un vero dialogo.

foto: Leafhopper Blanca Galindo & Davi

L’idea alla base della drammaturgia viene proposta dal Conversatore Giallo: immaginiamo di essere in un’isola deserta, anzi un arcipelago di isole, e immaginiamo che questo nuovo mondo stia per essere distrutto da una tempesta di fuoco. L’unico modo per sopravvivere è collaborare e creare una società, un “noi”. «Idea un po’ banale non credi?» controbatte la scritta bianca.

Il dispositivo scenico messo in atto si fa presto chiaro: sul palco si manifesteranno in carne ed ossa le proposte avanzate in chat dall’intelligenza artificiale, come le intuizioni di un regista-demiurgo libero dai vincoli della logica. Nel frattempo, attraverso video e immagini, viene costruito il mondo dell’isola, un universo stratificato, che ha una storia, un passato, un presente e un futuro in pericolo. Le proiezioni sono frutto del lavoro artistico di Agrupación? Niente affatto: anche queste sono generate con un’intelligenza artificiale tipo Midjourney, e viaggiano con disinvoltura dai dipinti rupestri al Rinascimento fino al modernismo. Lo spettacolo procede con una struttura a livelli, quasi come i layers di programmi come InDesign o Photoshop: si può scomporre l’immagine e lavorare su più piani, dividendo le informazioni e sommandole solo alla fine, e ogni piano è bastante a sé stesso e allo stesso tempo strettamente collegato agli altri.

foto di copertina: Leafhopper Blanca Galindo & Davi

In un meccanismo di accumulo e di amplificazione del nonsense — che a tratti corre il rischio di lasciare smarrito lo spettatore, in preda di un overload di informazioni — appaiono sul palco bolle enormi di plastica, scomposte coreografie di rugbisti, vorticose scene corali in tutina rosa: l’irreale si trasforma sotto i nostri occhi e diventa molto più realistico di quello che, a un primo impatto, si pensa.
Lo spettacolo si posiziona così tra una distopia quasi vera à la Black Mirror e un nuovo e riuscito teatro dell’assurdo, in un mondo composto di attese, impossibilità comunicative e dialoghi a vuoto. La compagnia catalana, da sempre capace di indagare l’attualità attraverso dispositivi tecnologici avanguardistici, firma un Aspettando Godot contemporaneo, mostrando la nostra alienazione e l’incapacità di orientarsi e reagire di fronte agli strabordanti flussi di dati, parole e immagini. Lo specchio nero che Agrupación Señor Serrano ci pone davanti ci mostra preda del caos: come naufraghi sballottati dai flutti in attesa di trovare un’isola.

Francesca Rigato


foto di copertina: Leafhopper Blanca Galindo & Davi

UNA ISLA
una creazione Agrupación Señor Serrano
regia e drammaturgia Àlex Serrano e Pau Palacios
assistente alla drammaturgia Carlota Grau
performers Carlota Grau, Lia Vohlgemuth, Sara Montalvão, Bartosz Ostrowski e nove performes locali
performer olografica Eva Torróntegui
coreografia Núria Guiu (in collaborazione coi performer)
scenografia e costumi Xesca Salvà
design luci Cube.bz
musica Nico Roig
creazione video olografico David Negrão
programmazione video David Muñiz
stage manager e performer Camille Latron
intelligenze artificiali utilizzate durante il processo di creazione GPT-3, Bloom, ChatGPT, DALL·E, Stable Diffusion, Midjourney, FILM
direzione di produzione Barbara Bloin
produzione esecutiva Paula S. Viteri
management Art Republic
produzione GREC Festival de Barcelona, Câmara Municipal de Setúbal, Rota Clandestina, Festival Internacional de Teatro de Expressão Iberica (FITEI), Centro Cultural CondeDuque, Laboratorio de las Artes de Valladolid (LAVA), CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli-Venezia Giulia, TPE – Festival delle Colline Torinesi, SPRING Festival, Feikes Huis, Departament de Cultura de la Generalitat