Con la drammaturgia Calderón, Pier Paolo Pasolini tenta di allertare i concittadini contro le mimetiche forme di assoggettamento totalitario dei nuovi poteri dominanti. Il suo messaggio è urgente, ma si conclude in tragedia: l’artista viene ucciso. Così almeno ci raccontano le cronache e le immagini. Ma Pasolini è morto davvero?

Il corpo di Pier Paolo Pasolini coperto da un telo il giorno del ritrovamento a Ostia, 2 novembre 1975. Quando è successo, nessuno ci voleva credere: la stampa, il mondo letterario polveroso, l’Italia polverosa: non ci volevano credere. Eppure: morto! Il dio dell’eresia, l’anti-omologazione, l’anti-fascismo, l’anti-potere, l’anti-stereotipo… sparito sotto un telo insanguinato. Dicono che l’hanno pestato a morte. Che erano in tanti, che lo hanno preso per i capelli e glieli hanno strappati, e poi gli hanno tirato calci e pugni finché non è morto. Finalmente l’ultimo respiro, finalmente.

Quel corpo sotto quel telo, così trasfigurato, era impossibile riconoscerlo. Non era Pasolini. Era un sacrificio, tragico e necessario: perché la strada della complessità e della ribellione deve continuare a correre in avanti, e ha bisogno di paladini.

Parigi, 2008. Appare una Black Girl Hiding Swastika alla fermata della metro Porte de la Chapelle, vicino a “La Bulle”, un centro per rifugiati. Chi è Bansky? Nessuno sa nulla di questo street artist. Dove è nato, dove vive, qual è il suo vero nome, la sua faccia.

Pasolini doveva sparire e lo ha fatto: morto, dicono. Ma no! Guardati intorno! Ora è più noto ma più sconosciuto, ovunque semina messaggi eretici, antifascisti. Ha cambiato linguaggio per poter continuare a parlare. Ribellatevi al sistema!, grida, uscite da questo capitalismo, da questo globalismo fascista che vi mette in prigione e vi vuole uguali e servili! Pasolini è ovunque e da nessuna parte, più visto di prima ma allo stesso tempo più invisibile e inafferrabile.

House of stairs, Escher, 1951. O forse: House of Men, Pasolini, 2076. Ecco il futuro: un mondo con molte scale, molte direzioni, infinite possibilità, infiniti mondi, uomini e donne complessi, complessissimi, diversissimi. Come l’uomo che va a destra e quello che pensava di seguirlo, ma poi invece si ritrova a sinistra e vede che va bene così, perché il suo amico che andava a destra lo ha comunque rincontrato, come se fosse un cerchio e in realtà è una spirale.

Siamo complessi!, ci grida Pasolini-Escher-Bansky, siamo complessi e non possiamo vivere sotto il cappello di un dominio che ci vuole unici, univoci e identici, perché non c’è perfezione e io sono irrazionalità e la mia casa non può essere che lì dove ci sono le case di tutti, di tutta l’umanità, una casa che non costringe nessuno a salire o scendere le scale nella stessa direzione di qualcun altro. La storia umana finisce e ricomincia in una casa come questa, senza un potere che fissa i ruoli e imprigiona, dove io dal quadro posso uscire, dove la mia realtà la posso vivere e anche cambiare, dove il sogno non è sognato per evadere, ma per creare nuove scale.

Marta Pizzagalli


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico LACritica