Com’è stato lavorare a questa edizione di MilanOltre con Agon-Teens, dove protagonisti dello spettacolo sono bambini e adolescenti tra gli 8 e i 16 anni?
Con i bambini mi trovo a lavorare sugli stessi concetti che propongo ai professionisti: ciò che cambia è la dimensione del vocabolario utilizzato. I bambini hanno bisogno di quattro o cinque keyword chiare perché hanno un tempo di ascolto molto basso. In Agon-Teens, allora, c’è un canovaccio preciso e chiuso. Si potrebbe pensare allora che la complessità che ne nasce sia data da noi adulti ma, in realtà, è generata dal bambino, dalla sua materia: il suo corpo, essendo ancora in una fase di sviluppo, cresce con degli equilibri instabili che generano delle soluzioni unpredictable. Il mio compito è fornire elementi perché loro sappiano affrontare anche queste.
Qual è lo stile di movimento che insegni ai ragazzi?
Non sono interessata ad uno stile e non cerco tanto meno di trasmetterne uno ai ragazzi. Piuttosto cerco di insegnare loro dei concetti, tali per cui ognuno configura i movimenti secondo la propria sensibilità, esperienza e visione. Lavoro quindi con le geometrie dello spazio come linee, spirali, cerchi che vengono interpretati da ognuno in modo differente. Il senso delle keyword non è passare il concetto “questa cosa si fa così”, ma fare in modo che le parole vengano acquisite, metabolizzate e strutturate dai vari corpi nella loro diversità. Il processo che ne deriva è il risultato più importante, secondo me.
Tra le keyword di oggi hai spesso indicato la “transizione” nello spazio come azione danzata. Che cosa intendevi?
L’azione danzata è essenzialmente una transizione del corpo nello spazio: quest’ultimo infatti costituisce, come ci dice la fisica, una materia che continua a muoversi. L’anatomia del nostro corpo si adatta continuamente ai cambi di luce, alla temperatura, al calore, alla presenza di altri soggetti intorno a noi. Per questo il nostro movimento è modellato dalle informazioni che gli arrivano da ciò che ha intorno: transita letteralmente nello spazio e questo lo modella.
Se l’azione danzata è transizione, quale rapporto ha con il codice classico?
Ci sono dei codici per regolamentare lo studio del corpo, per cui sappiamo quale configurazione ha la prima, la seconda, la terza posizione e così via. La sapienza del codice ci dice che, se non vuoi romperti un ginocchio, devi conoscerle le posizioni. Ma quando configuro il corpo in questi elementi del codice sto sempre governando un’anatomia e uno spazio che rimangono, come dicevamo prima, in movimento. La forma è allora una sospensione, un nucleo di tensione che un momento dopo può essere altro. Il movimento infatti va oltre il codice, esiste molto prima e va molto più lontano. In questo senso si parla sempre di attraversamento, transizione e non di forma chiusa, perché io sono viva dentro il codice che mi è dato.
Rebecca Grassi e Giulia Villa
ph: Luca Del Pia
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview