È una calda notte di fine estate in un paesello fuori Bologna, troppo grande per essere considerato campagna, troppo lontano dalla città per permettersi di non usare la macchina per spostarsi. Lì, un gruppo di amici, giovani e spensierati: vogliono soltanto bere e passare insieme quella sera d’agosto.
Tubo, il giovane protagonista, racconta quanto sembri semplice avere vent’anni e di come invece basti davvero poco per perdersi. È una di quelle notti con una bottiglia di gin, per intenderci. Sono questi i presupposti dello spettacolo Basta solo che questa notte frinisca di Riccardo Canzini, andato in scena all’Imbonati 11 Art Hub, nei pressi di Maciachini.
L’evento scatenante di tutta la narrazione è la scomparsa di Tommaso, uno dei componenti del gruppo: nessuno riesce più a trovarlo. Riappare qualche ora dopo proprio davanti a casa di Tubo e lì rimarrà per tutta la notte. Tubo sa che dovrebbero parlarsi, ma ha paura del confronto, di affrontare quello che potrebbe venire fuori dallo scambio. La loro è un’amicizia messa in pericolo dal troppo orgoglio, da troppi non detti, perché, a volte, affrontare i sentimenti, propri e altrui, è doloroso, pesante, si preferisce fare finta di niente. È un rapporto che finirà per logorarsi nel silenzio, il loro. Canzini, autore e interprete dello spettacolo, mette dunque in scena le difficoltà della prima età adulta, irta di insicurezze e incertezze per cercare un modo per tenere i piedi ben saldi a terra e restare fedeli a sé stessi, anche quando il bisogno di apparire e piacere sembra essere la priorità. Emerge così una tematica centrale per la performance: la fragilità dell’ego, in questo caso maschile, simile a una bottiglia, come quella di gin impugnata da Tommaso, che quando va in frantumi sparge dappertutto le sue schegge e non sempre si riesce a vedere dove siano finite, tanto da poter ferire di nuovo a distanza di tempo.
La scenografia è essenziale: sulla scena si vedono un paio di Vans rosse, un manichino e un grosso cubo nero, che talvolta viene usato come strumento a percussione, talaltra come lavagna o come nascondiglio. Lo spettacolo è molto dinamico: Canzini corre, salta, sposta il grande cubo da una parte all’altra e ci si arrampica persino sopra. Con l’aiuto di Massimo Giordani alla regia, il performer riesce a ricostruire un’atmosfera di una notte estiva: il calore appiccicoso, l’arsura della sete, una notte con il frinire delle cicale, giri infiniti intorno a casa, il sorgere del sole che finalmente strappa il protagonista a quella notte infinita. Evoca la frustrazione, il disagio, il desiderio di un chiarimento che non riesce a trovare una via d’uscita. 
Lo spettacolo s’interrompe al culmine della tensione drammatica: Tubo in palestra, che cerca di assecondare i comandamenti di una società che vuole gli uomini forti, muscolosi, intoccabili e distanti e che, sul tapis roulant incontra proprio Tommaso, con cui aveva smesso di parlare. E mentre la necessità di guardare avanti e il bisogno di nascondere le schegge sotto il tappeto gli impongono di non dire niente, di non affrontarlo per l’ennesima volta, Tubo sembra avere un guizzo di ribellione. Ma poi le luci si accendono, la magia finisce e non resta che sperare che quel ricongiungimento sia avvenuto e che Tubo si sia trasformato, che abbia fatto come una di quelle cicale che, dopo la muta, si lascia dietro il guscio vuoto con le sue paure e le sue insicurezze per andare a frinire in pace altrove, dove può davvero essere sé stessa

Silvana Accardo


immagine di copertina: foto di Davide Aiello

BASTA SOLO CHE QUESTA NOTTE FRINISCA
di e con Riccardo Canzini
aiuto regia, tecnica e disegno luci Massimo Giordani

La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025