Leonardo Lidi mette in scena una Fedra in dialogo con il difficile momento attuale, indagando la solitudine, la sofferenza e l’impotenza dell’uomo.

Un’imponente serranda cala sulla scena lasciandosi alle spalle i protagonisti della tragedia: Fedra, sua figlia e Ippolito. Può sembrare che lo spettacolo finisca lì, e invece no; anzi, in quel momento inizia il dramma di qualcun altro, il dramma di Teseo. Il Re di Atene riceve una lettera della sua amata Fedra, nella quale la donna confessa di essersi tolta la vita perché stuprata dal figlio di lui. Qui comincia il monologo, nonché il delirio, di un uomo colpito da un dolore viscerale che si protrarrà sino alla chiusura della tragedia.

Teseo, di ritorno da una delle sue peripezie, chiede di entrare nella sua dimora per poter capire cosa sia realmente accaduto ed affrontare suo figlio Ippolito. Ma se invece volesse uscire? Egli bussa, bussa e bussa su quella serranda, eppure nessuno lo sente, quasi fosse costretto a restare in quella dimensione, una dimensione altra, alienante, chiusa. Il parallelismo con il lockdown appare allo spettatore piuttosto marcato. In quest’ottica, Teseo rappresenta ognuno di noi, confinati fra le mura delle nostre case, in attesa di poter uscire.

Nella prima metà dello spettacolo, Fedra dichiara, prima a sè stessa, poi a sua figlia e al diretto interessato, tutto il suo amore per Ippolito. Il giovane uomo, tuttavia, non ricambia i sentimenti della donna, anzi se ne prende gioco. Egli le rivela apertamente e senza alcuna titubanza di non essere interessato all’amore e che il sesso, che pratica come uno sport, è per lui un passatempo che vive con distacco. La donna di fronte al rifiuto mette in atto l’ultimo gesto di questa sua disperata follia: si toglie la vita e inventa la perversa storia secondo cui Ippolito l’avrebbe stuprata.    
Nella seconda metà assistiamo, in tre momenti, all’assimilazione della vicenda da parte di Teseo, il quale, come dichiarato dallo stesso autore, è stato il punto di partenza della sua riflessione.
La prima fase è quella della negazione: Teseo non crede a quella lettera, non accetta che Fedra se ne sia andata, nega che suo figlio possa essere stato capace di un’azione ignobile come lo stupro. Allo stesso modo molti di noi negavano il nuovo virus, la possibilità di una pandemia, e sorridevamo quando cominciava a farsi strada l’ipotesi di un lockdown.

La rabbia regna nella seconda fase. Teseo comincia a fare i conti con la realtà: Fedra è morta, il lockdown è iniziato, e il dolore si trasforma in una rabbia incontrollabile. Teseo fa avanti e indietro senza sosta e batte i pugni su quella saracinesca allo stesso modo in cui noi prendiamo a pugni le mura di una casa-prigione, ma nessuno ci sente, solo la nostra voce rompe il silenzio. Siamo soli, lontani da tutto, in una dimensione in cui passato, presente e futuro si confondono e la vita sembra sfuggirci di mano. È allora che invochiamo Dio, sempre e solo nei momenti bui: prima ce la prendiamo con lui — «Perché mi hai abbandonato?» —  malediciamo lui e il mondo, poi gli chiediamo aiuto perché non sappiamo cosa fare, gli chiediamo di risolvere questa faccenda e di farlo subito. Teseo arriva a chiedergli di uccidere Ippolito. Una preghiera che diventa grido di impotenza e di disperazione.

L’ultima fase è quella dell’accettazione. Un Teseo spossato dal proprio delirio non può fare altro che accettare gli eventi che si sono avventati su di lui, senza lasciargli scampo, come un’onda gigantesca che si abbatte su una nave causandone il naufragio. È forse quello che si merita per aver trascurato Fedra? Le certezze crollano, subentra la paura del futuro: «E adesso, che faccio?».

La Fedra di Leonardo Lidi racconta la tragedia dell’incapacità dell’uomo di affrontare e gestire qualcosa di smisuratamente più grande di lui, ritrovandosi improvvisamente smarrito. L’incapacità di Fedra di controllare l’impeto amoroso per Ippolito innesca prima il rifiuto del giovane, poi il compimento della tragedia e, infine, il ritorno di suo marito. E proprio Teseo, sull’orlo del palcoscenico, incarna tutti noi in questo momento storico di estreme restrizioni e tormenti, che ci ricorda quanto siamo piccoli, deboli e fragili.

Marco Paolozza


Fedra
testi di: Seneca, Euripide, Ovidio, Sarah Kane e Rithsos
adattamento e regia di: Leonardo Lidi
con: Alessandro Bandini, Leda Kreider, Christian La Rosa, Francesca Porrini e Maria Pilar Pérez Aspa
disegno luci: Marco Grisa
assistente alla regia: Alan Alpenfelt
produzione: LAC Lugano Arte e Cultura

visto al al LAC di Lugano_29 novembre 2020 

Contributo pubblicato nell’ambito del progetto: