di Davide Carnevali
visto allo Spazio  Tertulliano di Milano _ 16-20 maggio 2012

Nei giorni in cui i “lavoratori dell’arte” cercano un modo alternativo per occuparsi di cultura e per cambiare qualcosa nella Milano della moda, degli aperitivi, del design e delle discoteche, Saccarina, in scena allo spazio Tertulliano, racconta di una città che delude e dalla quale, forse, sarebbe meglio fuggire. Protagonisti della pièce sono due giovani attori che per arrivare alla fine del mese lavorano dietro ai banconi dei bar o in dubbie trasmissioni notturne di emittenti locali. Schiavi di secondi lavori poco onorevoli né invidiabili, gli attori di Saccarina si trovano costretti a mentire per sentirsi ancora addosso una forma di dignità. Insieme, inseguono il sogno di vivere del loro lavoro (quello vero, di attori), ammaliati dalla speranza di avere un ruolo in una serie televisiva, scritta da un autore assente e prodotta da un milanese doc, che promette – a entrambi – grandi successi e un futuro da star. Tra caffè presi al tavolino di un bar o su una panchina (termos portato da casa e brioche del discount, per risparmiare) i due si illudono, sognano, mentono l’uno all’altro, chiacchierano e discutono nell’attesa di iniziare le prove. La corruzione, la menzogna e il tradimento sembrano essere le uniche condizioni per la sopravvivenza: scendere al compromesso oppure fuggire via, possibilmente in un luogo deserto e lontano da tutto (dal teatro in primis), inseguendo improbabili progetti imprenditoriali basati sull’affitto di container.

La drammaturgia di Carnevali fila via con un buon ritmo e una sapiente capacità di rappresentazione del reale, tra dialoghi brillanti, ironici, leggeri e allo stesso tempo non superficiali. Scritto nel 2005 e finalista del premio Riccione per il Teatro nel 2007, il testo sembra non soffrire troppo i segni del tempo: i primi passi dell’autore allora venticinquenne – con un’esperienza e una consapevolezza certo diversi da quelli di oggi – rivelano, tra qualche ingenuità, talento e buone intuizioni di scrittura. Il testo, ben giostrato, sembra restare però un divertissement. A questa sensazione contribuisce forse la regia (praticamente assente, gli autori si auto-dirigono senza sufficiente distanza critica) che si limita alla semplice rappresentazione dei dialoghi con una buona scelta musicale, su un palco con una panchina, il tavolino di un bar e gli sgabelli di un locale. Gli attori sono bravi e lo spettacolo è godibile, ma manca un di più che gli consenta di fare il salto. Forzati gli adattamenti del testo (l’assessore Boeri viene citato in più di un’occasione): il ritratto di Milano è già nitido senza bisogno di attualizzazioni e riferimenti ad personam. Saccarina parla della faccia triste di una città che certi caratteri li ha, purtroppo, nel suo dna, indipendentemente dalle scelte di chi la governa. Non è forse un caso che Carnevali da Milano ci sia fuggito davvero, trovando opportunità di lavoro e ricerca tra Berlino e Barcellona. Ben altra cosa rispetto a questa Italia, dove mettere insieme le due parole lavoro e arte non può che essere sinonimo di sfida per un collettivo di occupanti.

Francesca Serrazanetti