di Anagoor
Visto al Piccolo Teatro di Milano _ 26-31 gennaio 2016
Con L.I./Lingua Imperii (2012) Anagoor, collettivo artistico nato in Veneto nel 2000, aveva dimostrato di saper portare la ricerca dei linguaggi performativi al di là di un orizzonte potenzialmente autoreferenziale, e di avere una notevole capacità analitica nello sviscerare un tema di provenienza remota, guardandolo da una prospettiva nuova e senza tempo. In Virgilio brucia ad essere portata in scena è la figura del poeta, raccontata per frammenti che, facendo riferimento a linguaggi e fonti molto diversi tra loro, compongono un affresco complesso e allo stesso tempo di un’acutezza ed equilibrio formidabili. Il titolo può allora essere letto in modo duplice: Virgilio brucia – o meglio avrebbe avuto intenzione di bruciare, prima di morire – i rotoli dell’Eneide; ma Virgilio brucia (ancora oggi), del fuoco dell’arte e della poesia, nel suo essere strumento di racconto del reale, con un proprio ruolo sociale e politico.
La drammaturgia, composta da sette capitoli, si divide in due parti principali: la prima è formata da sei diversi sguardi sul poeta e sul poema epico, affidati per lo più a testi di autori del ‘900 e contemporanei. La seconda è un’autentica immersione nella scrittura dell’autore, con i quarantacinque potentissimi minuti di recitazione, in latino, del II libro dell’Eneide: più che una prova d’attore una prova performativa a tutto tondo, così come ogni frammento di uno spettacolo in cui niente è lasciato al caso e la cura del dettaglio è estrema.
Le fonti del testo, seguendo con rigore la partitura in quadri, partono da Hermann Broch, che con il suo romanzo La morte di Virgilio narra le ultime ore di vita del poeta soffermandosi proprio sulla sua intenzione di bruciare l’Eneide, ma arrivano a toccare uno scrittore come Emmanuel Carrère, che in Vite che non sono la mia affronta, in un momento di lutto, la difficoltà e la crudezza del fare letteratura. Fino a enunciare i Consigli a un giovane scrittore di Danilo Kiš, recitati, nel serbo dell’autore, a colui che di lì a breve interpreterà Virgilio. I consigli suonano come un decalogo del ruolo del poeta, nel suo rapporto con la società e col potere, andando a chiarire quello che è uno dei due fulcri drammaturgici dello spettacolo. Il secondo è spiegato nella seconda scena, “le sofferenze dell’impero”: in un video girato tra i banchi di scuola il professore (Marco Cavalcoli di Fanny & Alexander) tratta tramite Amitav Ghosh – autore indiano che in The glass Palace racconta le lotte e le migrazioni di popoli legate alle colonie britanniche in oriente e in particolare in Birmania – il tema dell’Eneide come poema universale che parla di cambiamento, di esilio, di patria, del dolore pagato come prezzo della Storia.
L’architettura dello spettacolo si compone così di diversi elementi che entrano in relazione tra loro fino a creare un tutto organico. Anche dal punto di vista del linguaggio, i riferimenti non si fermano a quelli letterari. Entra in campo la dimensione visiva, con la cura e la precisione dell’immagine e il rapporto con l’arte, tanto caro alla compagnia che già lo aveva trattato nello spettacolo Tempesta ispirato a Giorgione. La lunga e intensa scena finale, in cui Virgilio recita l’Eneide davanti alla famiglia di Augusto, richiama il tema figurativo, ricorrente nella storia dell’arte, che rappresenta lo svenimento di Ottavia nel momento in cui sente nominare da Virgilio il figlio morto l’anno precedente. C’è anche la cura della parola e della lingua (tema centrale di Lingua Imperii) che ha un rilievo nel suono, nella cadenza, nel ritmo, fino a diventare musicale linguaggio universale; ma c’è un’attenzione persino ai caratteri tipografici della parola scritta, che assorbe il ritmo nella proiezione delle traduzioni. Per non dimenticare la partitura dei video e quella dei canti, con la grande efficacia di quello corale rivolto alle immagini riprese presso allevamenti intensivi (e il riferimento al mondo animale ci riporta a –jeug*, primo lavoro di Anagoor, dove in scena vi era un cavallo in carne e ossa).
Con Virgilio brucia Anagoor conferma di essere la compagnia italiana che ha in modo più completo saputo indagare, in questi ultimi anni, la capacità della scena di rompere con la tradizione parlando a un pubblico (colto) allargato. E fa piacere vedere questo spettacolo, al Piccolo Teatro, arrivare a una platea dove le scolaresche si uniscono ad abbonati, a studiosi di filologia classica e ad appassionati delle più eterodosse arti performative.
Francesca Serrazanetti