Intervista a Giovanna Carminati e Andrea Vanini

Due generazioni diverse, due professionalità diverse, un desiderio comune: promuovere un network capace di stimolare riflessioni sul territorio e soprattutto di innescare buone pratiche nel territorio, in sinergia con le organizzazioni culturali. Giovanna Carminati, Assessore alla Cultura del Comune di Arcene, e Andrea Vanini, Assessore al Turismo di Trescore Balneario, nonché Presidente del Comitato Turistico InValCavallina, hanno partecipato al Convegno organizzato da Qui e Ora Residenza Teatrale per il decimo compleanno dell’Associazione festeggiato con il convegno Dal Capitale Relazionale al Bene Comune. È  proprio in questa occasione che li abbiamo incontrati.

Giovanna Carminati, Assessore alla Cultura del Comune di Arcene


Quali sono le potenzialità in essere nel rapporto tra arte e territorio?

G.C.: Ogni territorio già di per sé esprime manifestazioni artistiche nell’architettura di edifici o luoghi pubblici, nella presenza di artisti o delle loro opere – che siano di rilievo o locali. Valorizzare ciò che esiste e vive, renderlo fruibile alla cittadinanza è già delineare percorsi artistici. Ma si può tentare di più. Lo sguardo di un amministratore sul territorio, visto come potenziale ricchezza culturale, può essere molteplice e sfocia in scelte di volta in volta differenti: dalla cura di ciò che esiste alla proposta di linguaggi diversi per veicolare differenti significati, attraverso l’acquisto di prodotti artistici selezionati tra le varie offerte presenti sul mercato. Un amministratore può anche immaginare degli artisti partner nella progettazione dell’offerta culturale, costruendo al contempo percorsi cuciti ‘sartorialmente’ sui territori. È allora che arte e territorio si intrecciano in maniera virtuosa. L’incontro con Qui e Ora Residenza Teatrale ha prodotto davvero un allargamento degli orizzonti e la possibilità di ripensare la proposta culturale partendo dall’intreccio di relazioni tra amministratori, associazioni, biblioteche locali, cittadinanza con eventi e progetti pensati all’interno di spazi pubblici solitamente adibiti ad altro. Potrebbe sembrare inusuale, ma si rivela fortemente simbolico tenere un corso di “narrazione di sé” nella sala del Consiglio Comunale, trasformata così da luogo di deliberazione a luogo di condivisione di storie, che attraversano generazioni e origini diverse. Altrettanto inusuale potrebbe sembrare vedere abitato da artisti “in prova” un vecchio granaio e ancor più sorprendente il fatto che quello spazio sia aperto ai cittadini per incontri con gli artisti. La sinergia tra arte e territorio ad Arcene è nata da un incontro provvidenziale, da un dialogo franco e diretto sui bisogni della comunità e degli artisti, sulla fiducia reciproca messa in gioco fin dall’inizio da tutte le parti in causa. Ora l’amministrazione mette a disposizione spazi per accogliere in residenze gruppi giovani che restituiscono alla cittadinanza spettacoli teatrali, corsi, installazioni, incontri progettati insieme.

A.V.: Credo il rapporto tra arte e territorio sia di interdipendenza, soprattutto se intendiamo il territorio nell’accezione di “contesto”: si alimentano l’un l’altra. L’arte vive in un contesto, da un contesto trae ispirazione e ne esalta le componenti negative e positive. Il territorio, di contro, si adatta all’arte: dai parchi che vengono modificati per ospitare opere agli edifici che definiscono un nuovo orizzonte delle città e dei paesi. È un rapporto non solo molto stretto, ma anche molto potente, che può arricchire oppure, se assente, impoverire una comunità intera. Di esempi credo sia pieno il mondo, di buone pratiche un po’ meno, ma non mi ritengo abbastanza esperto per sentenziare in merito: sento semplicemente che quando contesto e arte si trovano in armonia, questa sinergia viene percepita positivamente dalle comunità che abitano quel contesto, e avvertita spesso distintamente anche da “fuori”, da chi non vi abita.

Andrea Vanini, Assessore al Turismo di Trescore


Senti di appartenere a una comunità? Se sì, quali urgenze per
cepisci al suo interno? 

G.C.: Mi sento parte di una cittadinanza intesa in senso ampio e credo che i cittadini in generale corrano il rischio di accedere solo a prodotti culturali – o definiti tali – veicolati dal mezzo televisivo o da internet. Il risultato di questo fenomeno genera anche un’urgenza: un grande analfabetismo culturale soprattutto nei piccoli centri. Avverto però un’altra necessità per la popolazione: incontrare la bellezza nelle sue molteplici forme, attraverso linguaggi che non le siano usuali. Avvicinarsi al teatro, alle arti figurative affiancati da professionisti può e deve diventare possibilità per tutti, a cominciare dalle giovani generazioni. È proprio così, ad esempio, che dall’incontro con un attore e regista sono nati corsi nelle scuole e messa in scena di performance di qualità, in cui i ragazzi hanno veicolato agli adulti messaggi molto potenti.

A.V.: In realtà sento di appartenere non a una sola, ma a molteplici comunità sovrapposte tra loro, che si mischiano. Alcune più remote – ad esempio la mia generazione – altre più radicali, originarie – come la famiglia. Sicuramente la più vicina è la comunità in cui abito che comprende ma non si limita a Trescore Balneario, comune in cui risiedo. Di urgenze ne vedo almeno due, e grandi: chiamerei la prima “gestione della complessità”; la seconda “sindrome del supereroe”. Da un lato tutto si muove in modo complesso, molto più difficile e veloce di quanto riusciamo umanamente a decifrare, e questo genera apprensione, insicurezza, stress, e una grande paura di fondo. Dall’altro, grazie a questa “sindrome”, non possiamo mai mostrare il nostro lato debole, le nostre vulnerabilità. Quella dell’uomo forte è ancora una retorica di cui, dalla politica allo sport, non siamo riusciti a liberarci. L’unione tra queste due urgenze è esplosiva. Così finisco per percepire un’urgenza personale, quella di raccontare l’umanità alle umanità tutte. In una parola la chiamerei “empatia”.

murales realizzato in occasione di Lascia un segno


Come può l’arte farsi prodotto di una comunità, diventare cioè arte sociale e pubblica in concreta relazione con chi abita un territorio, portatrice di un’identità condivisa?

G.C.: Urge ritornare all’arte come espressione dei temi sociali. A mio avviso è necessario superare l’idea che “l’evento di richiamo” basti a far crescere la cultura. Coltivare la cultura – mutuo la terminologia dal nome di un bando di Fondazione Cariplo – richiede la pazienza dei tempi lunghi, della cura sia dei percorsi che delle persone.  È una possibilità che abbiamo sperimentato con i diciottenni di Arcene che ormai da quattro anni, dopo aver scelto un articolo della Costituzione, scelgono un artista, progettano e realizzano un murales, riqualificando un sottopasso pedonale nei pressi della fermata ferroviaria (Lascia un segno – un percorso tra formazione e Street art promosso da Qui e Ora Residenza Teatrale, in sinergia con il Comune di Arcene e Pigmenti, con il contributo di Fondazione Cariplo ndr). Guerra, lavoro, uguaglianza, diritto all’espressione personale raccontati da alcuni ragazzi a un’intera comunità in occasione di feste istituzionali: penso che questa esperienza sia davvero una ricchezza per l’intero paese. La cultura cresce soltanto attraverso pratiche coinvolgenti e di senso, e si può definire tale solo se suscita interrogativi e apre nuove prospettive.

A.V.: L’arte può essere prodotto di una comunità se non la consideriamo solo un fine e proviamo a pensarla come uno e non l’unico dei mezzi per costruire un’identità condivisa. Subentra a volte un’idea distorta che vede nell’arte l’unico mezzo di salvezza. Attraverso il “solo l’arte ci salverà” abbiamo perso contatto con le comunità che affermavano un popolare “impara l’arte e mettila da parte”. Si tratta di condivisione, collaborazione, di organismi corresponsabili, i cui confini sono molto labili. Dobbiamo essere interdipendenti.

A cura di Camilla Fava