Un viaggio tra i ricordi, che prende forma in un percorso diffuso in grado di unire tempi e luoghi diversi alla ricerca del significato della memoria. Anime. Di luogo in luogo è il titolo dell’articolato progetto che la città di Bologna dedica a Christian Boltanski, in occasione della ricorrenza di più anniversari: i 37 anni dalla Strage di Ustica, i 40 anni di Emilia Romagna Teatro Fondazione, i 10 anni di MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Il progetto, a cura di Danilo Eccher, promosso da Comune di Bologna e Emilia Romagna Teatro Fondazione, in collaborazione con Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica e Regione Emilia Romagna, celebra il sodalizio tra uno dei massimi artisti a livello internazionale e il capoluogo felsineo, con un fitto programma di eventi (fino a novembre 2017) diffusi nel tessuto urbano. Il tema nodale che percorre l’iniziativa è quello della memoria, strettamente intrecciato al contemporaneo e ai suoi legami con lo scorrere del tempo, fino all’ineluttabile passaggio tra la vita e la morte. Questioni care all’artista francese, divenute espressione concreta all’interno dell’installazione permanente esposta nel Museo per la Memoria di Ustica, dove l’opera di Christian Boltanski circonda i resti del DC9, abbattuto il 27 giungo 1980.

“Le anime” come rimando “alla collettività, alle storie dei singoli individui e alla Storia” unite ai “luoghi”, diversi e periferici, sono gli elementi attorno a cui gravita l’intero progetto, articolato in varie tappe: l’omonima mostra antologica al MAMbo, l’installazione performativa Ultima al Teatro Arena del Sole, l’installazione Rèserve presso l’ex polveriera bunker nel Giardino Lunetta Gamberini, il progetto speciale Take Me (I’m Yours) all’interno dell’ex parcheggio Giuriolo e l’installazione diffusa Billboards che collegherà centro e zone periferiche della città. Di pari passo, le iniziative paiono invitare lo spettatore ad assumere una posizione: quella di un soggetto attivo che, nel momento della contemplazione o nell’attraversamento di un percorso performativo, è chiamato a ricostruire, in modo del tutto personale, le suggestioni e le tematiche proposte dall’artista.

La memoria e il tempo divengono tracce sensibili in Ultima. L’opera, realizzata in collaborazione con lo scenografo Jean Kalman e il compositore Franck Krawczyk, si muove tra teatro, arte e musica e compone un articolato paesaggio onirico di ricordi che si confondono e dialogano continuamente con il presente.
Gli spettatori, in gruppi di quindici, attraversano lo spazio lungo un’installazione itinerante. Nessuna indicazione, nessuna traccia, nessuna via. Dopo un breve percorso che conduce alla platea, in una semi penombra, appare l’immagine di una stanza, con lunghi corridoi e luci al neon, in cui si aggirano spettatori e attori. È lo spazio del palcoscenico, ma irriconoscibile. Ci si siede sulle sedie poste di fronte, nel tentativo di decifrare quanto si cela oltre la rete nera. Si riconoscono alcuni vecchi mobili coperti da lunghi lenzuoli bianchi: sembra di trovarsi di fronte a naufraghi impegnati nella ricerca di qualcosa che è andato perduto. Dopo attimi di attesa e di osservazione arriva il momento dell’attraversamento, che ribalta le sensazioni e le percezioni: una musica continua, scandita dal suono lieve di pianoforte, saxofono e percussioni, e il canto di una soprano, orientano il percorso dello spettatore. Dai mobili provengono flebili voci: sono uomini e donne che raccontano i loro ricordi di infanzia, i giochi, la fame, le privazioni, la magia delle storie narrate nel cortile di casa. Sono l’affresco di un mondo in bianco e nero. Gli abitanti-guardiani di quel microcosmo indossano visiere nere con le stampe di volti anonimi, forse di chi non c’è più. Si aggirano continuamente fra i corridoi e sussurrano agli spettatori “Hai sofferto molto?”, “Perché fai finta di niente?”, “Hai visto la luce?”. Le domande rimandano alla tragedia della strage, al dolore di chi ne è stato colpito e ha dovuto affrontare il lutto della perdita. I suoni di un triangolo richiamano l’attenzione degli spettatori: è il momento di lasciare il tempo della memoria.

Il frammentario microcosmo creato da Ultima si compone di due livelli: i ricordi d’infanzia di anziani emiliano-romagnoli e la memoria delle vittime della Strage di Ustica sono le forme di un passato declinato a un eterno presente. Le lenzuola bianche divengono così i simulacri di memorie che ritornano in vita, si permeano negli oggetti che animano lo spazio, costituendo per il pubblico l’elemento indispensabile con cui interagire.
Nel costruire questo “percorso della memoria” si rintraccia tutta l’abilità di Christian Boltanski nel riuscire a originare un’esperienza totalmente immersiva. La musica dilata il tempo fermandolo e invitando lo spettatore a cercare la propria dimensione temporale, che non scorre sulle lancette dell’orologio ma deriva dagli impulsi sonori e visivi che si fondono con il ricordo. Quello che si origina tra le linee sinuose della rete nera è un ambiente fatto di suoni, abitato in tutte le sue parti. I gesti degli attori, i movimenti degli spettatori, i frammenti delle voci, la musica e i rumori sono le micro-particelle che definiscono lo spazio e lo animano. Al termine dell’attraversamento, riguardando il percorso alle proprie spalle, si è certi di aver esplorato un luogo altro, unico e personale, non solo dal forte impatto emotivo ma anche con un elevato valore documentale. Uno spazio ultimo, fra i pochi, nella profondità dei ricordi, per tentare di unire i fragili fili della memoria.

Carmen Pedullà

Ultima
di Christian Boltanski
visto all’Arena del Sole di Bologna_27-30 giugno 2017