Cosa accomuna le Fenicie di Euripide e i Sette contro Tebe di Eschilo? La risposta può sembrare banale: entrambe le tragedie ruotano attorno alla reciproca uccisione di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, alle porte di Tebe. Il fratricidio nell’assedio di Tebe diventa simbolo dell’odio che infiamma in uno stesso popolo: di questi tempi, l’attualità del tema non necessita di ardue ricerche tra le righe del testo, ma è del tutto evidente.
Per il cinquantatreesimo ciclo di rappresentazioni classiche l’INDA, mettendo a confronto due diversi racconti della stessa storia, dichiara di voler parlare de “il teatro e la città”: l’attualità del mito, la polis come spazio condiviso, la città contemporanea come luogo di conflitti.
La continuità tra le due rappresentazioni, per le regie di Marco Baliani e Valerio Binasco, è segnata (come spesso è accaduto nella storia della rassegna) anche dalla scelta di affidare il disegno dello spazio scenico allo stesso scenografo, Carlo Sala, storico collaboratore del milanese Teatro dell’Elfo.
A rappresentare la città di Tebe non sono grandi apparati architettonici o strutture che rappresentano il Palazzo, bensì elementi naturali, con soluzioni sobrie e in riduzione, lontane dai fasti cui ci avevano abituato edizioni precedenti. Eppure gli elementi visivi non hanno timore di invadere la sacralità dello spazio.
Il piano scenico è appoggiato sul suolo del teatro antico come fosse sospeso, lasciandone intravedere i resti: nelle Fenicie è ricoperto di un enorme telo rosso composto da diverse pezze cucite insieme. Rimosso il telo, nei Sette contro Tebe la scena mostra ancora di più la sua sospensione: un profilo segna una linea d’ombra e sembra far galleggiare il palco, ricoperto di terra, sulle antiche pietre del teatro di Siracusa.
Al centro, in entrambi i casi, troneggia un albero. Quello delle Fenicie è abbattuto e ridotto a scheletro bianco, appoggiato su un cumulo di rocce. Nei Sette contro Tebe è invece vivo, con le radici piantate a terra e i germogli verdi. Solo a tragedia inoltrata i rami si spezzeranno, incrinando definitivamente il simbolo della speranza per il futuro della città.
Nelle Fenicie le porte, spesso trattate come elementi monumentali, sono semplici sistemi trilitici composti da due tronchi e un’asta di legno. Il fondale scenico è una fila di teli bianchi appesi tra dei rami, che si lasciano spostare dal vento svelando gli alberi sul fondo.
Nessun elemento architettonico quindi, nessuna scena rialzata, nessun podio né sistemi per nascondere un sottopalco. La scelta sembra essere quella di fare respirare lo spazio con rispetto, restituendo l’unitarietà della cavea con il suo contesto.
Nei Sette contro Tebe i teli sul fondo scompaiono e lasciano la spazialità del teatro greco ancora più integra. L’albero al centro della scena si confonde con il verde che, sul fondo del teatro, nasconde la vista della città di Siracusa. Sembra essere elemento votivo, ed evoca forse più i riti africani che non alle divinità greche. Tronchi mozzi di colonne segnano le sette porte alle quali avverranno gli scontri. Pochi elementi punteggiano così con semplicità lo spazio, seguendo i movimenti dettati del testo: una grande griglia linea trasportata dal coro diventa la porta su cui, di volta in volta, si aggrappa uno dei sette guerrieri (per ognuno una maschera dai caratteri tribali) che assediano la città.
Nelle scelte dei due registi emerge la contrapposizione tra il movimento quasi ipercinetico del coro nei Sette contro Tebe e l’immobilità statuaria delle donne nelle Fenicie: se nel primo la rigida struttura che caratterizza la tragedia viene resa dinamica dalla scrittura dei movimenti, le secondo paiono imbalsamate, nella suggestiva immagine creata dai costumi e dalle maschere pensati dallo stesso Sala, a rappresentare un gruppo di profughe.
Per chi voglia approfondire, è interessante il paragone con i passati allestimenti di queste tragedie, testimoniati dai saggi (di Vittorio Fiore e Antonio Gualtieri) in appendice alle traduzioni pubblicate, come ogni anno, in occasione del festival. Fenicie era già andato in scena per l’INDA unicamente nel 1968 (regia Franco Enriquez, scene Emanuele Luzzati), Sette contro Tebe nel 1924 (regia Ettore Romagnoli, scene Dulio Cambellotti), nel 1966 (regia Giuseppe Di Martino, scene Lucio Lucentini) e nel 2005 (regia Jean-Pierre Vincent, scene Jean-Paul Chambas). Ma la rappresentazione della città torna negli anni anche in altri allestimenti legati al ciclo tragico tebano (Antigone o Edipo Re.) Al confronto con queste passate esperienze, l’apertura dello spazio scenico e la riduzione dei riferimenti simbolici nelle scelte di Carlo Sala risultano ancora più evidenti. Se rispondono forse a diminuite disponibilità di budget, danno piena visibilità alle azioni e all’unità totalizzante del teatro antico. Una spazialità che rende servizio alla regia, che opera scelte per così dire ‘in sottrazione’ rispetto a certe regie ‘ad effetto’ degli scorsi anni. In Sette contro Tebe un messaggero compare dall’alto della cavea alle nostre spalle: nella città che ci circonda, corriamo tutti il rischio di essere sotto assedio.
Francesca Serrazanetti
Fenicie
di Euripide
Traduzione Enrico Medda
Regia Valerio Binasco
Scena e costumi Carlo Sala
Musiche Arturo Annecchino
Disegno luci Pasquale Mari
Con Isa Danieli, Simone Luglio, Giordana Faggiano, Gianmaria Martini, Guido Caprino, Michele Di Mauro, Alarico Salaroli, Matteo Francomano, Massimo Cagnina, Yamaguchi Hal, Simonetta Cartia, Eugenia Tamburri
Coro Accademia d’Arte del Dramma Antico – sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”
Sette contro Tebe
di Eschilo
Traduzione Giorgio Ieranò
Regia Marco Baliani
Scena e costumi Carlo Sala
Musiche Mirto Baliani
Coreografie Alessandra Fazzino
Con Marco Foschi, Anna Della Rosa, Gianni Salvo, Aldo Ottobrino, Massimiliano Frascà, Liber Dorizzi
Coro Accademia d’Arte del Dramma Antico – sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”