da Louis-Ferdinand Céline
di e con Elio Germano e Teho Teardo

visto al Teatro Elfo Puccini di Milano _ 7-19 febbraio 2012

Al principio fu forse “Gassman legge…” a far passare l’idea che la lettura scenica potesse essere sdoganata anche presso il pubblico non specializzato ammantandola, nel caso specifico, con un’irresistibile vis comica. Nello sketch di “Avanzi” il celebre attore che aveva letto Dante con tanta serietà, interpretava con fare istrionico qualunque testo gli capitasse a tiro, dagli ingredienti dei frollini alle etichette dei capi d’abbigliamento, dal menù del ristorante ai cartelli per le visite oculistiche. Era il 1991 e il seme televisivo era stato gettato: che fosse davvero l’artefice di una tendenza culturale che avrebbe attecchito di lì a qualche tempo o un precursore scanzonato poco importa.

Quel che è certo è che nel corso degli anni la lettura scenica sta vivendo una nuova popolarità: basti pensare al successo di Benigni con la “Divina Commedia”  fino ad arrivare alla corrente stagione teatrale milanese dove “Servillo legge Napoli”, “Gifuni e la Bergamasco leggono Il piccolo principe”, e, in qualche modo, anche Marcorè e Gioè con il loro “Eretici e Corsari” riportano in vita i testi di Pasolini.

Se gli spettacoli citati fanno riferimento a due realtà importanti del teatro milanese quali Il Piccolo e il Parenti, anche L’Elfo-Puccini  si prende la sua parte, presentando, dal 7 al 19 Febbraio, “Viaggio al termine della notte”, di e con Elio Germano e Teho Teardo.

Il primo dei due, Germano, è uno che, dopo aver ricevuto il premio ex-aequo con Javier Bardem a Cannes per la “miglior interpretazione maschile” (impresa riuscita solo a Mastroianni in Italia) non ha più bisogno di presentazioni o elogi. Il secondo, Teardo, è un validissimo compositore di colonne sonore piuttosto famose: nel suo paniere ci sono Salvatores, Sorrentino, Molaioli (leggi “Quo vadis Baby?”, “Il Divo”, “La ragazza del lago”). L’incontro dà vita a una lettura-concerto, che, almeno nelle intenzioni, “parte dal testo che diventa suono, per trovare una via nella musica”. Il fine – afferma lo stesso Teardo – è di creare “un rapporto consequenziale che cerca di rimanere essenziale, senza fronzoli, evitando il superfluo, il decoro, il manierismo.”
Così sul palco troviamo ben distinti da una parte lo scrittoio dove l’autore-Germano legge le sue pagine e dall’altra Teardo e la violoncellista Martina Bertoni che si occupano della musica.

A separarli solo la luce di una lampada da tavolo che con metronomica efficienza alterna e scandisce i tempi dell’esecuzione: accesa tocca alle parole, spenta alla musica. Purtroppo però il meccanismo appare presto più consecutivo che consequenziale, e, allontanando lo spettatore dall’illusione evocativa, si inceppa nella sua ripetitività.
La sensazione che ne deriva è di una regia elementare che, per quanto miri con questa austerità a porre l’accento sul testo, non fa altro che relegarlo a una funzione scomoda, quella di sostenere l’impalcatura, senza che la cornice riesca a esaltarlo.

I brani chiamati a questo  compito sono quelli contenuti nelle prime trenta pagine del romanzo, compreso il prologo e fatta eccezione per il finale. Germano li legge, seduto, con voce tormentata aiutando la sua già autosufficiente espressività con un microfono effettato quasi a sottolineare, pleonasticamente, la dinamica concerto.
Per fortuna “Viaggio al termine della notte” è uno di quei pochi libri che, dovunque lo si frughi, riesce sempre a lasciare sbalorditi nella sua feroce lucidità, cosicché per tutti, si fa per dire, i quarantacinque minuti di spettacolo lo si ascolta volentieri.

Mentre si esce vengono in mente due riflessioni.
La prima, banalissima, è che “testo famoso chiama attore famoso”, meglio se prestato o prelevato dal cinema. E, benché si sappia che la visibilità mediatica attiri pubblico da una parte e possa far tirare il prezzo del biglietto dall’altra, bisognerebbe considerare il fatto che sul costo di ingresso dovrebbero incidere alcuni fattori (scenografie, costumi, numero dei tecnici, ecc), che non abbondano certo nelle letture sceniche. Il rischio che ne deriva altrimenti è di sentenziare: “attore famoso chiama biglietto costoso” e, per dirla con Celine, “che non se ne parli più”.
La seconda è che questo concerto –“hardcore” secondo una dichiarazione di Germano- ha un po’deluso: sì, i suonatori erano bravi, i testi ottimi, il cantante ha una bella voce, ma mancava il groove e gli arrangiamenti non funzionavano affatto.
Occasione sprecata?

Corrado Rovida