di e con Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
visto al Pim Off di Milano_9-11 Febbraio 2013

748 quaderni colmi di annotazioni. Cosa ha mangiato, quali programmi ha guardato in televisione, chi ha scorto casualmente dalla finestra. Janina Turek, polacca, madre di tre figli, donna qualunque, cataloga per più di cinquantanni la sua vita in registri minuziosi, facendo di se stessa il proprio oggetto d’osservazione.

Reality è il risultato del sodalizio ormai consolidato tra Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, due che hanno saputo piegare le peculiarità delle loro esperienze al servizio di performance che si distinguono soprattutto per una vivida curiosità, per la capacità di indagine. Nel caso di Reality ciò che colpisce all’ingresso in sala è il clima informale: entrambi gli attori sono in scena, seduti, tranquilli, si scambiano perfino qualche parola prima di incominciare, come se più che a uno spettacolo si stesse andando incontro a una conversazione fra amici.

Quel che si vuole presentare, del resto, è una vicenda che fa del quotidiano ‘l’eccezionale’, la storia di chi, senza clamore, ha saputo incasellare i gesti più ordinari di una vita fino a renderli oggetti di riflessione.
Non c’è bisogno di declamazioni, né di sensazionalismi: Deflorian utilizza un tono medio, pacato, persino flebile, le cui venature espressive acquistano spesso il sapore di un’ironia sotterranea, di un’intelligenza composta.
Senza quasi rendersene conto ci si trova trascinati nell’esposizione dei fatti, invischiati fino al collo nei numeri, negli elenchi interminabili, negli inventari. Ma proprio quando sembra di esserne sopraffatti ci si accorge che, in realtà, l’esistenza della Turek non è interessante di per sé, ma lo diventa, quando la sua morte e la conseguente scoperta dei diari scoperchiano una vita segreta nascosta nella vita comune: una dimensione auto-riflessiva insospettabile e ipertrofica.

Quei quaderni che allo sguardo di uno psicologo apparirebbero senza dubbio come il sintomo di un’ossessività compulsiva, diventano altro: si fanno ‘prove di descrizione della realtà’ perseguite con lucidità metodica, quasi scientifica. La Turek non commenta ciò che annota, non registra le proprie impressioni, ma si attiene a snocciolare dati oggettivi, impersonali, in maniera tale da averne il pieno controllo. Non c’è spazio per il come o per il perché, ma solo per il chi, il cosa, il quanto.

Tagliarini e Deflorian affrontano il problema della rappresentazione della realtà osservandolo con il mezzo teatrale, come fosse la lente del loro strumento di ricerca. Da una parte ci avvertono che il teatro non può limitarsi alla neutralità, né preservare la mera descrizione dall’influenza dell’io, del soggettivo: ce ne danno un breve esempio interpretando le possibili modalità del trapasso della Turek (unico dato non contenuto nei diari ma altrettanto sicuro). Dall’altro lato sottolineano come, quand’anche ci si affidasse all’oggettività statica e asettica di una voce in lista, questa ci direbbe ben poco della realtà che vuole rappresentare.
Una tazzina di caffè nero bevuta a colazione, un telecomando rotto, diventano perciò il pretesto per allargare il cerchio, per permettere agli attori di proporre la loro versione dei fatti, tanto fantasiosa, quanto più interessante e viva. Si cerca tra le righe: la vita si cela negli spazi vuoti, nei ‘buchi’, in ciò che non viene detto.

Il caso di Janina Turek possiede un fascino enigmatico, denso, antropologico, che Reality riesce a esaminare con una leggerezza sorprendente. Inseguire se stessi nei dati, specchiarsi nei numeri, nella propria passione compilativa non è che un tentativo di analisi introspettiva molto più complesso di quel che appare, la cui chiave di decrittazione si può trovare nelle parole della stessa Turek: “La metafisica mi ha accompagnato quasi sempre, a volte non è stato facile venirne a capo.”

Corrado Rovida