di Marina F.A. Martelli

Può una commedia chiudersi con una morte, sia pure dell’avversario? A partire da questa domanda si scandaglia nella commedia di Epicarmo, con attenzione al discrimine tra genere comico e dramma satiresco, dagli intrecci e dalla materia mitica spesso comune. L’indagine è condotta a partire dai frammenti dell’Ámico di Epicarmo (frr. 6-8 PCG), con ipotesi sul finale – mancante – attraverso i paralleli rimasti, da Sofocle (TrGF IV frr. 111-12 R.) fino alla letteratura ellenistica. A confronto, l’episodio di Ámico e gli Argonauti in Apollonio Rodio (Argonautiche 2,1-97) e il duello tra Ámico e Polluce nel XVII Idillio di Teocrito restituiscono due diversi epiloghi: in uno Ámico è ucciso, nell’altro è vinto e giura di osservare d’ora in poi la legge dell’ospitalità. Un terzo finale si ricava dalle rappresentazioni vascolari, tra cui la famosa Cista Ficoroni, su cui Ámico appare legato a un albero. Possibili derivazioni e influenze sono passate in rassegna, nel tentativo di individuare chi preservi la conclusione di Epicarmo: è più conveniente un lieto fine, nella natura della commedia, o piuttosto la stessa punizione che toccò a Scirone o a Busiride secondo la versione tradizionale del mito? Può essere sufficiente ricomporre un equilibrio in cui la giustizia sia riaffermata: e il cattivo va incontro a una burlesca punizione, con una deformazione comica del tragico.