di Francesca Gambarini

Su di lui la critica si è irrimediabilmente divisa. C’è chi lo considera uno dei grandi del teatro italiano del Novecento, esaltandone le opere e le sue inarrivabili interpretazioni. Nessuno quanto Eduardo De Filippo – dicono i suoi ammiratori – ha saputo raccontare storie e creare personaggi, liberandone l’autentica vitalità e dipingendo in questo modo un quadro a tinte forti della società italiana del suo tempo. C’è chi, invece, di Eduardo denuncia la poca corposità nelle trame e la ripetitività dei moduli drammaturgici, ma anche il carattere troppo acceso della sua “napoletanità”. Un dato, però, rimane certo: di Eduardo non si può – e non si deve – smettere di parlare, criticando o elogiando, non importa. Perché le sue opere, sempre più rappresentate dai massimi interpreti del nostro teatro, consentono ancora oggi un punto di vista esclusivo e privilegiato: la vita. Il saggio, prendendo spunto dalle tre commedie eduardiane in scena la scorsa stagione, analizza quella che è la cifra, unica e irripetibile, del suo teatro: parlando della vita sul palcoscenico, rappresentare quella vera, svelandone il trucco, l’anello che non tiene. L’arte è della commedia, la verità è del teatro: allo spettatore decidere da che parte stare.