di Lena Kitsopoulou
regia di Ghiannis Kalavrianòs
visto al Piccolo Teatro Studio_ 22 aprile 2013
all’interno di “Milano Incontra la Grecia”_ 22-24 Aprile 2013

Nel mese di aprile la Grecia ha conquistato Milano. Si sono appena spente le magiche luci di Bob Wilson (Odyssey 2-24 aprile 2013), che ha guidato per la sua “fiaba” un cast greco eccezionale (leggi la recensione su Stratagemmi), ed è terminata la sesta edizione di “Milano incontra la Grecia”, rassegna che attraverso la piattaforma “Σatellart – Transmitting Greece” presenta la creatività greca contemporanea nelle arti (teatro, danza, musica, fotografia). Le proposte sono sempre di alta qualità, come nel 2012 con Prometheus in Athens dei Rimini Protokoll (cfr. la recensione uscita su Stratagemmi, e il saggio di approfondimento disponibile online).

L’appuntamento teatrale di quest’anno ha portato a Milano Lo Straniero: Austras o La Gramigna, un bell’esempio della vivacità culturale greca. Brevemente, la storia della genesi dello spettacolo. Nel 2011 il Teatro Nazionale di Grecia propone a due giovani autori la stesura di due atti unici che confluiranno in uno spettacolo unitario, sul tema dello straniero: quattro attori recitano le due brevi pièces in successione nella stessa sera, guidati da giovani registi di talento. L’evento è subito sold out con repliche negli anni successivi, ad Atene ma anche all’estero (novembre 2012, Stoccarda, con ottimi commenti della stampa tedesca).

Sarebbe stato interessante vedere questo riuscito esperimento a dittico anche a Milano. L’anello mancante è L’invisibile Olga (testo di Ghiannis Tsiros e regia di Ghiorgos Paloumbis), ispirato alla storia vera di un’immigrata bulgara vittima della tratta sessuale: lo spettacolo ha partecipato al progetto “Emergency Entrance” (Graz 2012) e in Grecia ha valso alla protagonista Lena Papaligoura (classe 1985) l’ambito premio “Melina Merkouri” 2013.
Ma anche senza il suo spettacolo “gemello”, Austras ha funzionato molto bene
Abbiamo voluto tracciare il percorso particolare di questo progetto perché in Grecia è molto viva l’attenzione all’Europa, nell’ottica di fattiva collaborazione e partecipazione. La Grecia vuole essere ascoltata, mostrare la propria vitalità creativa, e si mette in gioco.

Veniamo ad Austras, ritratto spietato della società greca contemporanea, in cui sempre più preoccupante e violenta è l’avanzata del nuovo fascismo: nelle scorse elezioni del 2012 il partito neonazista di Alba Dorata ha ottenuto 18 seggi in Parlamento.
All’inizio tre sono i personaggi in scena: Katerina, suo fratello e il fidanzato Vanghelis. L’attrice è Lena Papaligoura, impegnata anche nell’allestimento di Wilson (ancella di Nausicaa e Sirena): il suo tour de force fra pochi giorni la porterà con Austras allo Stückemarkt 2013 di Heidelberg (26 aprile-5 maggio, Paese ospite la Grecia) e al Festival estivo di Atene-Epidauro sarà Antigone (regia di Natassa Triantafyllou, aiuto regia di Wilson in Odyssey).

Che cosa fanno i tre giovani? Sono annoiati di tutto, dell’Atene di oggi, tutta caos e cemento, ma anche del nostalgico “come si stava bene un tempo”; sono stanchi perfino dell’opera in cui stanno recitando e del pubblico raccolto nel Teatro Studio per loro…
Per ammazzare il tempo che sembra immobile, rotolano dal divano al tappeto, impostano conversazioni banali, infarcite di rozzi stereotipi ed espressioni gergali e sboccate: un quadro di ignoranza che sfiora a tratti il ridicolo. Esilarante e dissacrante ad esempio risulta Katerina quando imita in modo sguaiato i famosi appelli di Melina Merkouri (attrice e poi Ministro della Cultura) per il ritorno dei marmi del Partenone dal British Museum (“I want back my marbles”), mostrando di non capire lontanamente l’importanza della “battaglia” tuttora viva, come pure dell’eredità classica.

Numerosi i momenti di pausa metateatrale, segnalati anche dal cambio-luce, che per certi versi richiamano il meccanismo della parabasi nelle commedie antiche: come in un fermo immagine, gli attori escono dai loro ruoli e commentano la rappresentazione, o ‘gonfiano’ comicamente i triti luoghi comuni espressi in precedenza. Mettendo in ridicolo la trivialità del personaggio, l’attore torna a farsi uomo e complice dello spettatore, a cui suggerisce uno sguardo critico.
La terribile vacuità dei protagonisti, le risate scomposte sul nulla, i toni sopra le righe, che spesso ci strappano il riso, disegnano gradualmente una situazione asfittica venata di un’inquietudine sotterranea, che cerca una valvola di sfogo. In effetti i tre giovani sono in attesa: “Aspettiamo…il kondò”, cioè il “basso, nanerottolo”, ma è evidente il gioco di parole in greco, perché kondò è assai vicino alla sonorità di Godot. Questo Godot atteso e invocato, perché lui solo potrà portare un cambiamento nell’inerte abulia, è lo Straniero. Hanno incontrato Selàn (svizzero, belga o tedesco?) mentre vagava sperduto e solo nel centro di Atene e lo hanno invitato a cena per quella sera.

Il gioco di chiaroscuri, che mescolava ilarità e stonature cupe, ora accelera l’intensità del ritmo. Nei discorsi sul misterioso straniero assente c’è un senso di fastidio, nutrito di un razzismo strisciante sempre più pervasivo. “Straniero” infatti diventa categoria vasta e minacciosa: è il pericoloso malvivente che ha scippato Katerina, l’invadente Pakistano che ogni giorno al semaforo ti lava il parabrezza, ed è anche Selàn, rappresentante del mondo civilizzato che pensa di conoscere tutto della Grecia perché ha visto l’Acropoli e il Museo dell’Acropoli, ha assaggiato le specialità culinarie, ha svolto tutti i riti del turismo e ha imparato perfino che cosa vuol dire malakas, la parolaccia più diffusa fra i giovani (“stronzo, coglione”). L’ironia si fa pungente e pronta a deflagrare.

Finalmente Selàn arriva, accolto con cordialità: dopo la cena, i tre si sforzano di intavolare la conversazione in un inglese elementare. La distanza linguistica segna qui una netta cesura: allo scambio politically correct nella lingua dell’altro, si affianca il commento in greco, malevolo e sempre più corrosivo. Finché, mentre l’imbarazzo dell’ospite cresce, la calda ospitalità gradualmente degenera. Spiegano a Selàn che i Greci sono attaccati alle proprie tradizioni e soprattutto alla musica: gli mostrano con allegria passi di danza, lo invitano al ballo. Ma si fanno sempre più petulanti, accalorati in un disegno (forse improvvisato o forse no) di addottrinamento. Gli fanno ascoltare una canzone famosa di Stelios Kazantzidis, Selàn cortesemente chiede la traduzione dei versi e ne ammira la bellezza. I tre allora cominciano a scandire le parole e gli chiedono di ripeterle, per cantare tutti insieme. Lo straniero è impacciato, ma aperto e arrendevole alle loro insistenze. Sembra un gioco, e anche noi ridiamo degli sforzi ed errori di pronuncia. Alcuni scatti di nervosismo in crescendo fanno presagire il peggio: quando lo straniero si arrende (“It’s too difficult for me”) e si vorrebbe congedare, la tensione esplode. Spintoni, minacce, compare addirittura una rivoltella. Il divertimento diventa gioco al massacro, secondo il meccanismo: se non sai la mia lingua, allora sei un nulla. Io sono Greco, io sono superiore e ti mostro la mia forza.

Quello che cercano i tre giovani non è il confronto interculturale per avvicinare Selàn alla grecità e per imparare a loro volta da lui. La direzione è unica e la “assimilazione” sarà forzata, attraverso il canale della violenza. L’altro insomma non deve esistere, deve essere umiliato e annullato. E infatti, mentre il sorriso del  pubblico si gela nello shock della violenza esibita, la tragedia si compie: lo straniero è sequestrato, minacciato e malmenato con furore ad ogni errore di pronuncia o di memoria, e si intuisce che non ne uscirà vivo. Infatti, come ci hanno spiegato i personaggi all’inizio, l’altro è “austras”, cioè gramigna, un errore di natura, che cresce perfino nel cemento e soffoca le erbe buone: occorre sradicarlo perché è nocivo.

Un atto unico potente, per il testo e la recitazione, autoironico e ben orchestrato nel ritmo e nell’alternanza ambigua di riso e tragedia. La Grecia dunque ci ricorda che l’ignoranza genera mostri e carnefici: missione del teatro è denunciare la realtà, anche quando è scomoda.

Gilda Tentorio