a cura di e con Luca Radaelli
regia di Paola Manfredi
visto al teatro Libero di Milano _ 1-7 marzo 2016

Nell’era dello showcooking, ovvero la cucina trasformata in spettacolo, sono sempre più numerose le contaminazioni tra teatro e cucina. Basti citare, tra i casi più recenti, la storia politica e le vicende personali del Teatro delle Ariette, l’ironia scanzonata de I Sacchi di Sabbia che raccontano le avventure di Sandokan tagliuzzando ortaggi, o, ancora, Kitchen Stories #1: Tutto l’Amore è Clandestino della Ditta Alesse Argira arrivato tra i dodici finalisti del Premio Scenario. E, se proprio non bastasse, approderanno tra poco al CRT i racconti sapienziali Cucinar Ramingo di Giancarlo Broise, spettacolo già vincitore del Premio Tuttoteatro nel 2012.

Rientra appieno in questo filone “cuciniero” Macbeth Banquet, presentato a Next nell’anno di Expo Nutrire il Pianeta con la regia di Paola Manfredi, e in replica in questi giorni al Teatro Libero di Milano. La tragedia di Shakespeare viene narrata da un cuoco (quello della reggia scozzese? O forse quello che segue l’esercito con la sua cucina da campo?), ed è così che anche la vicenda si dipana tra gli utensili quotidiani presenti in ogni cucina che si rispetti: coltelli, ciotole, tazze e piantine di aromi vari.

Il protagonista Luca Radaelli, che firma anche progetto e traduzione, dà vita al monologo entrando e uscendo dai diversi personaggi con naturalezza, facendoli dialogare con gli strumenti e gli alimenti che tiene in mano: la patata LadyMacbeth, la barbabietola fonte del sangue che sprizza in battaglia, le noci a simboleggiare lo sterminio della famiglia di Macduff. Anche la pozione magica delle streghe – la cui preparazione è scandita da una cantilena dialettale, come quella di una brava massaia – è un miscuglio cantato di zucchero e cognac.
La storia con la S maiuscola – sembrano dirci Radaelli e Manfredi – è in fondo una grande macelleria: si taglia e si affetta, si sceglie e si scarta, si brucia e si pesta, ma alla fine tutto finisce nel bidone dell’immondizia.

E a concludere il viaggio, tra sangue, cibo e riflessioni sulla sorte dell’uomo, non può che essere la celebre battuta shakespeariana: “la vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si dimena durante la sua ora sul palcoscenico, dopodiché non si sente più nulla. Una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla”. Epilogo calzante perché a questo punto pentole e padelle sono sul fuoco da più di un’ora, ma non è ancora tempo di mangiare: la carne è appena stata messa a cuocere e l’attore e il musicista (Maurizio Aliffi che ha accompagnato il tutto alla chitarra) brindano con un bicchiere di vino rosso, uscendo dai loro personaggi. Lo spettacolo è finito, ma per la cena si deve aspettare.

Giulia Alonzo

Sulle intersezioni tra il mondo della cucina e il teatro Shakesperiano, guarda l’indice del numero 31 di Stratagemmi, curato da Margaret Rose, Cristina Cavecchi e Caroline Patey