Rallenta e si ferma di fianco alla stazione l’autobus proveniente da Orio al Serio. Alla folla dei viaggiatori in movimento – che cercano rapidi di raggiungere un treno, un taxi o l’accesso alla metropolitana – se ne mescola un’altra, che non ha fretta. Sono siriani, nord africani, Rom. Aspettano. Non hanno ancora una destinazione da raggiungere.

Le storie di Versoterra – ascoltate proprio di fianco al mare-Caronte che trasporta e uccide – si sovrappongono ai volti affaticati che affollano il piazzale della stazione, raccontandone i dolori, le incertezze, le prospettive strette. Penetrare a fondo in una narrazione, dopotutto, significa anche trasformarla in una lente per guardare il presente. Ed è questo forse l’obiettivo e il merito del progetto Versoterra che – ben al di là di ogni valutazione artistica – consegna allo spettatore la custodia di vite lontane per renderle filtro interpretativo dell’oggi. La migrazione albanese in Italia degli anni Novanta (Lireta), quella italiana in Svizzera degli anni ’70 e ’80 (Emigranti Espress) si rivelano trappole per l’empatia: la distanza è solo apparente, e lo spettatore si ritrova d’improvviso catapultato proprio in quel presente che si forzava di scordare. L’albanese Lireta rischia la morte su un gommone, stringendo forte sua figlia appena nata: ma quel piccolo corpo, miracolosamente incolume, rifrange per contrasto l’immagine-simbolo del bambino con la maglietta rossa fotografato senza vita sulla spiaggia di Bodrum. E quegli italiani umiliati con una visita medica al confine svizzero, cos’hanno di diverso dai giovani in fila ai Centri di Identificazione ed Espulsione?

Ma interrogare il presente, guardarlo da vicino, porta necessariamente a ridefinire se stessi e la propria identità. Forse per questo, nell’ultimo giorno di Versoterra, Mario Perrotta si emoziona mentre dedica al suo Salento la puntata conclusiva di Emigranti Esprèss, misurando su se stesso le spinte contrastanti dello sradicamento e dell’appartenenza. Quell’ “odi et amo” – dedicato a una terra di contraddizioni e bellezze, di disoccupazione e mercato nero del lavoro, di ospitalità e paura dell’altro – ha molto da dire sulla nostra Europa di oggi. E anche sulla città operosa che accelera, attraverso il suo traffico nervoso, dalla Stazione Centrale verso la circovallazione.

Maddalena Giovannelli